Già lo scorso anno, i nuovi farmaci contro il melanoma metastatico (MM) erano stati protagonisti della scena ASCO a Chicago. In particolare, erano stati apprezzati i dati riferiti ad ipilimumab, un anticorpo monoclonale anti-CTLA-4 che potenzia l’azione dei linfociti T ed attiva in maniera sostenuta e prolungata il sistema immunitario dell’ospite. Si tratta del primo farmaco ad aver dimostrato, in un trial di fase III randomizzato in pazienti non selezionati con MM, un beneficio statisticamente significativo in termini di sopravvivenza globale rispetto ad un braccio di confronto attivo (1). Anche quest’anno, al congresso ASCO di Chicago sono stati presentati dei dati interessanti, tra cui alcune analisi effettuate sui pazienti trattati con ipilimumab in Italia nell’ambito del programma compassionevole. La coorte italiana comprendeva 855 pazienti metastatici in progressione dopo almeno un regime di terapia, candidati a ricevere fino ad un massimo di 4 somministrazioni di ipilimumab (3 mg/kg ev) ogni 21 giorni.
Una prima analisi (abstract 9065)(2) ha voluto verificare la presenza di un possibile rapporto tra efficacia ed alcuni eventi avversi immuno-correlati (irAEs), che già in precedenza era stata ipotizzata in studi clinici, non pervenuti però fin qui a risultati conclusivi (3). Infatti, se in alcuni studi retrospettivi i pazienti che hanno sviluppato irAEs hanno ottenuto beneficio clinico ed una migliore sopravvivenza, in altre casistiche risposte obiettive e miglioramento della sopravvivenza sono stati osservati anche in pazienti che non hanno avuto tossicità (4). L’efficacia di ipilimumab è stata misurata in termini di sopravvivenza e di risposte immuno-correlate, secondo i criteri stabiliti da Wolchok e pubblicati nel 2009 (5). Nella coorte italiana il 33,4% dei pazienti ha manifestato un irAE durante il trattamento. In questo gruppo non è stata evidenziata alcuna differenza nel controllo di malattia immuno-correlata (risposte + stabilità) rispetto ai pazienti che non hanno sviluppato eventi avversi (35.3% vs 33.9%, rispettivamente). È stata però rilevata una minor rapidità di progressione nei pazienti che hanno manifestato tossicità, a causa, probabilmente, del meccanismo d’azione del farmaco e dell’insorgenza tardiva dell’irAE. I pazienti con tossicità che hanno ricevuto almeno 3 cicli senza progressione, infatti, sono stati il 37%, contro il 22% di quelli che non hanno avuto eventi avversi. Gli autori hanno anche messo a confronto la sopravvivenza tra i due gruppi di pazienti (irAEs vs NO irAEs), senza rilevare alcuna differenza significativa (rispettivamente, 10.0 vs 9.7 mesi). Questa ipotesi di correlare l’efficacia alla tossicità appare, comunque, piuttosto interessante e sicuramente merita un’analisi prospettica più approfondita. In conclusione – commenta Anna Maria Di Giacomo (Siena), prima autrice dello studio – “sebbene siano necessari ulteriori trial prospettici, il nostro studio, nell’ambito dell’EAP, ha consentito di esplorare la correlazione tra efficacia e tossicità di ipilimumab in un setting di pazienti che è quello della pratica clinica quotidiana, senza rilevare correlazione fra efficacia ed insorgenza di eventi avversi”.
In un altro lavoro è stata esaminata retrospettivamente la presenza di un’eventuale correlazione tra efficacia e stato mutazionale di BRAF ed NRAS (abstract 9070) (6). Paola Queirolo (Genova) nota che le mutazioni di BRAF, presenti in circa il 40-50% dei MM, e quelle di NRAS (circa 20% dei casi) sono solitamente associate ad una prognosi peggiore in pazienti con MM (7). I dati degli studi clinici suggeriscono che il trattamento con ipilimumab fornisce percentuali di risposta e di controllo di malattia sovrapponibili, indipendentemente dalla presenza o meno di una mutazione BRAF V600E. Lo stato NRAS mutato, inoltre, è considerato un fattore prognostico indipendente di peggior sopravvivenza in questi pazienti e si associa anche ad una maggiore incidenza di metastasi cerebrali (8). Se consideriamo l’intera coorte italiana dei pazienti trattati in EAP (n=855), ad un follow-up mediano di 6.7 mesi il controllo di malattia immuno-correlato è del 34.3%, con una sopravvivenza mediana di 7.2 mesi e poco più di un terzo di pazienti vivi ad un anno. Il 36.9% di questi pazienti presentava una mutazione nel gene BRAF, mentre il 17.1% dei pazienti aveva una mutazione di NRAS. La percentuale di pazienti in controllo di malattia e le curve di sopravvivenza non mostrano alcuna differenza significativa tra i pazienti wild-type e quelli mutati, sia per quanto riguarda BRAF che per NRAS. Questo dato ci conferma il fatto che ipilimumab, alla dose di 3 mg/Kg, è efficace in maniera indipendente dallo stato mutazionale dei geni BRAF ed NRAS.
Vemurafenib è un inibitore della chinasi BRAF ed è stato recentemente approvato, dall’EMEA e dall’FDA, in pazienti con MM portatori di mutazione BRAF V600E. In questi pazienti, vemurafenib prolunga significativamente la sopravvivenza globale rispetto alla chemioterapia standard con dacarbazina, mentre non è efficace nei pazienti non mutati (9). In letteratura esistono pochissimi dati sul trattamento sequenziale ipilimumab – vemurafenib (o viceversa) nei pazienti con mutazione BRAF. Nell’EAP italiano, 173 pazienti erano positivi per la mutazione di BRAF e 93 di essi (54%) hanno ricevuto un trattamento sequenziale: 48 pazienti (52%) sono stati trattati con un inibitore di BRAF (iBRAF) a progressione dopo ipilimumab, e 45 pazienti (48%) hanno ricevuto ipilimumab a progressione dopo iBRAF.
Paolo Ascierto (Napoli) ha presentato a Chicago i risultati di efficacia in questi pazienti (abstract 9035) (10), le cui caratteristiche basali erano simili, eccezion fatta che per livelli più elevati di LDH ed una maggiore incidenza di metastasi cerebrali nel gruppo dei pazienti trattati con la sequenza iBRAF ® IPI.
Ad un follow-up mediano di 11 mesi, la mediana di sopravvivenza globale per i pazienti trattati con la sequenza IPI ® iBRAF è risultata significativamente più lunga di quella dei pazienti che avevano ricevuto iBRAF ® IPI: 14.5 mesi (95% CI: 11.1–17.9) vs 9.9 mesi (95% CI: 5.8–14.0); p=0.04. La differenza in sopravvivenza resta evidente anche dopo valutazione nei sottogruppi sbilanciati al momento di iniziare il trattamento. Tra i 45 pazienti progrediti dopo trattamento con iBRAF, 18 (40%) hanno avuto una rapida progressione di malattia e non sono riusciti a completare i 4 cicli di ipilimumab. In questi pazienti la mediana di OS è stata di 5.8 mesi (95 % CI: 4.0–7.7). I rimanenti 27 pazienti sono andati incontro ad una progressione di malattia lenta ed hanno potuto completare ipilimumab, raggiungendo una sopravvivenza mediana di 19.3 mesi (95 % CI: 10.3–32.4, p<0.0001). I due gruppi di pazienti (rapid progressors e slow progressors) sono stati analizzati a seconda delle diverse caratteristiche basali: la giovane età e la presenza di metastasi cerebrali erano significativamente associati con un decorso peggiore (rapid progressors).
In conclusione, annota Paolo Ascierto, “questa analisi retrospettiva ha evidenziato che la somministrazione di ipilimumab prima di un inibitore di BRAF nei pazienti mutati risulta in una sopravvivenza significativamente più lunga rispetto alla sequenza inversa. Inoltre, circa il 40% dei pazienti che progrediscono dopo iBRAF, soprattutto i più giovani e quelli con metastasi cerebrali, hanno una malattia rapidamente progressiva e la possibilità che il successivo trattamento con ipilimumab possa risultare efficace è limitata, poiché questi pazienti non riescono purtroppo neppure a completare i 4 cicli di ipilimumab. Ovviamente, questi risultati necessitano di conferma in uno studio prospettico”.
Nel quarto ed ultimo abstract, sono state esaminate l’efficacia e la tossicità sui 193 pazienti di età superiore a 70 anni (abstract 9548) (11). Vanna Chiarion Sileni (Padova), presentando lo studio a Chicago, fa notare che l’età in oncologia è un fattore prognostico indipendente e perciò è molto importante ai fini della decisione clinica. Nonostante ciò, esso appare fin qui poco studiato, se si esclude la considerazione dei pazienti in età pediatrica. Peraltro, circa il 25% dei pazienti con MM ha più di 70 anni e, anche in presenza di comorbidità, la progressione di malattia rimane la loro principale causa di morte. Il sistema immunitario si modifica al crescere dell’età, il che però non pregiudica la possibile efficacia di trattamenti immunologici; tuttavia, non erano mai stati analizzati in maniera specifica i dati su efficacia e tollerabilità di ipilimumab in questa fascia di età.
Nel programma EAP italiano sono stati trattati 193 pazienti con età >70 anni (range 71-88), che rappresentavano il 23% del totale. La valutazione è stata di tipo retrospettivo e non prevedeva l’uso di scale geriatriche che permettessero di suddividere i pazienti in base al grado di validità fisica. Tuttavia, in considerazione dell’estensione del programma su tutto il territorio nazionale e per la numerosità del campione, consistente con la frequenza di MM in questa fascia di età, si può presumere che non sia stata esclusa nessuna categoria.
In questa analisi, nessuna variabile è risultata statisticamente diversa o, in valore assoluto, inferiore rispetto a quanto osservato per i pazienti con meno di 70 anni. Circa il 70% dei soggetti anziani ha ricevuto tutte e 4 le dosi programmate di ipilimumab, dimostrando perciò un’ottima maneggevolezza da parte del farmaco; 11 pazienti hanno anche beneficiato di un ritrattamento. Il 35.7% dei pazienti ha manifestato un evento avverso farmaco-correlato, di grado severo nel 6% dei casi. Gli eventi avversi sono stati risolti con le procedure dettate dalle linee guida internazionali, con un tempo medio alla risoluzione di circa 2 settimane. Un controllo di malattia immuno-correlato è stato ottenuto nel 38% di questi pazienti. La sopravvivenza mediana è di 8.9 mesi, con il 38% di pazienti vivi ad un anno ed il 22% a 2 anni.
Ipilimumab si è dimostrato quindi attivo e ben tollerato anche nella popolazione anziana, con dati di efficacia e di tollerabilità del tutto sovrapponibili a quelli dei soggetti più giovani. Si può pertanto concludere che sia l’efficacia che la tollerabilità di ipilimumab non sono influenzati dall’età.
Bibliografia
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- Chiarion-Sileni V, Pigozzo J, Ascierto PA: Efficacy and safety data from elderly patients with pretreated advanced melanoma in the Italian cohort of ipilimumab expanded access programme (EAP). J Clin Oncol 31, 2013 (suppl; abstract 9548)