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Classificare la malattia oncologica, con o senza la “storia” del paziente?

By 15 Settembre 2010Marzo 24th, 2021No Comments
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Commento di Anna Costantini, Direttore Unità Dipartimentale di Psiconcologia, Ospedale Sant’Andrea Sapienza Università di Roma.

Una premessa importante prima di rispondere a questa domanda consiste nel definire il tipo di approccio alla cura medica al quale vogliamo riferirci. Oggi coesistono infatti due modelli di rapporto medico-paziente: quello “focalizzato sul medico” e quello “focalizzato sul paziente”. Il primo modello costituisce l’approccio tradizionale dove il compito principale del medico è raccogliere le informazioni utili per la diagnosi e la cura della malattia. Il medico assume una posizione prevalentemente direttiva,  paternalistica (“sa cosa è meglio per il paziente”), non ritiene fondamentale soppesare gli aspetti psicologici del paziente e fornisce un supporto aspecifico (“si tiri su”, “deve reagire, la sua famiglia ha bisogno di lei”, “Vedrà tutto andrà bene”).
Il rapporto cambia totalmente nel secondo modello che è centrato sul paziente. Qui il medico non solo cura la malattia (to cure) ma si prende anche cura della persona malata (to care). Il paziente non è considerato un “ricevitore passivo di cure”, quanto un partner attivo nel percorso terapeutico: le sue preoccupazioni, i suoi valori, le sue convinzioni, il suo modo di far fronte alla malattia sono elementi che il medico rileva per orientare meglio il processo informativo, affiancare il paziente nella scelta tra alternative di trattamento tenendo conto delle sue priorità e, nel caso, offrire un supporto mirato ai bisogni individuali (psicologici, spirituali, sociali, medici). La patient centered medicine è alla base del concetto di umanizzazione delle cure e della integrazione multidisciplinare, in particolare tra medicina e psicologia di cui la Psiconcologia rappresenta un modello avanzato.

Lo studio dei rapporti tra mente e corpo, e più in particolare le recenti acquisizioni derivanti dalla ricerca clinica in Psicosomatica e  Psiconcologia,  hanno dimostrato come condizioni psichiche quali, ad esempio, atteggiamenti mentali non funzionali con attitudine fatalista o di negazione, sentimenti di rabbia o di demoralizzazione, stati depressivi o ansiosi di rilevanza clinica, un cattivo rapporto medico-paziente, una scarsa informazione ricevuta, precedenti esperienze negative con il cancro possono essere fattori indipendenti nell’associarsi al peggioramento della qualità della vita, ad un aumento del rischio di disagio psichico nella famiglia, alla riduzione dell’aderenza ai trattamenti fino al rifiuto degli stessi, ad un’alterazione della relazione medico-paziente con sviluppo di comportamenti negativi verso la malattia, un aumento dei tempi di recupero sia nella riabilitazione che nella degenza, ad una minor efficacia biologica della chemioterapia.

Ampi studi di screening in diversi Paesi (il più recente è stato effettuato in Italia dalla Società Italiana di Psiconcologia su oltre 1200 pazienti) hanno dimostrato un’alta prevalenza di sofferenza psichica in pazienti oncoematologici, afferenti a Day Hospital e ambulatori, in vari stadi di malattia. Il 35-40% delle persone colpite da cancro presenta quadri psicopatologici, come sequela della malattia e dei trattamenti, compatibili con una diagnosi psichiatrica secondo l’ICD-10 o il DSM-IV . A questi aspetti si associa un’ulteriore quota di sofferenza emozionale sotto-soglia e disagio psicosociale che comporta significative ripercussioni sulle persona ammalata di cancro e i familiari. Tale sofferenza è spesso sottovalutata nella routine ospedaliera, forse a causa della convinzione che sia del tutto normale di fronte ad una malattia che mette a rischio la vita o perché non considerata una priorità nel processo di cura o per mancanza di una specifica formazione a rilevarla.

La valutazione del disagio psichico e delle preoccupazioni del paziente  viene di fatto oggi considerata un indicatore di qualità e completezza dell’assistenza ai pazienti in oncologia, sia sul versante clinico sia su quello organizzativo all’interno dei percorsi di accreditamento delle strutture. Dal 1997 il National Comprehensive Cancer Network ha stabilito linee-guida specifiche che includono l’assessment e la gestione del distress in oncologia, la cui più recente edizione è del 2010. Il distress è stato proposto come “sesto parametro vitale” da monitorare regolarmente nell’attività clinica, al pari dei classici parametri vitali fisiologici quali temperatura corporea, frequenza cardiaca e respiratoria, pressione arteriosa e dolore. Per il distress in oncologia è stato sviluppato uno strumento specifico – il Termometro del Distress (TD) – che “misura” in modo rapido il livello di sofferenza emozionale e le sue possibili cause (fisiche, familiari,  relazionali, spirituali e pratiche). Il DT è stato inserito nelle linee-guida come strumento di screening, in ambulatorio e day-hospital oncologico, per individuare precocemente quei pazienti che hanno bisogno di un supporto psicosociale specialistico.
Nella prospettiva di una medicina centrata sul paziente sarebbe opportuno dunque adottare di routine la valutazione del distress emozionale. Una valutazione che richiede da parte del personale curante solo pochi minuti, ma che può avere importanti ricadute sulla qualità di vita dei pazienti e dei loro familiari…