Altre volte abbiamo dato conto delle crescenti preoccupazioni, nel mondo oncologico internazionale, per i non sempre convergenti interessi della salute collettiva e dei pazienti da un lato, e delle industrie e delle istituzioni sanitarie dall’altro. Un intervento di Lucio Luzzatto (Direttore Istituto Toscano Tumori) e di Enrico Costa (Servizio di Farmacia, Azienda ospedaliera integrata di Verona) su “Il Sole24 Ore” (10.06.2012) sollevano di nuovo la questione.
Da un po’ di tempo negli Stati Uniti c’è carenza di farmaci antitumorali di base. Per esempio – notano Luzzatto e Costa – tende a mancare un noto e apprezzato antifolico, il metotrexate (due euro circa per fiala). Non manca invece un nuovo antifolico, il pemetrexed, ottimo farmaco che anche all’ASCO 2012 ha registrato successi, ma che costa 200 euro la fiala. «Si tratta di sostanze chimiche piuttosto simili, e i costi di produzione non possono essere molto diversi. Uno però – sotto brevetto – rende circa cento volte più dell’altro: è chiaro che produrre un farmaco che non rende quasi niente semplicemente non conviene». Insomma, notano i due eminenti autori, «a noi sembra che al momento attuale l’industria farmaceutica for profit e i servizi sanitari pagati dai contribuenti siano su una rotta di collisione. Evitare la collisione non sarà facile, ma è necessario».
Come procedere?
Cambiando in modo radicale il rapporto tra il privato ed il pubblico, attraverso due proposte puntuali: primo, accollando il controllo della sperimentazione clinica al SSN e sottraendolo all’industria, così da ridurre drasticamente il costo inflazionato della sperimentazione stessa. Secondo, negoziando il prezzo di ogni farmaco nuovo da una posizione di forza. Come? Presi nel loro insieme i SSN dei Paesi europei sono un formidabile mega-cliente. Non ha senso che, una volta che l’EMA ha approvato un farmaco nuovo, il prezzo sia poi negoziato separatamente dai singoli Stati dell’Unione: «cosa farebbe una fabbrica di automobili se un cliente le promettesse di acquistare due terzi dell’intera produzione di veicoli per i prossimi 10-20 anni? Forse concederebbe qualcosa di più che un piccolo sconto».
Lo spirito insomma è quello contenuto già nella «proposta di incentivi per la salute globale» avanzata di recente da Amartya Sen e Joseph Stiglitz. Secondo i lungimiranti autori, questa proposta – pur nella sua apparente radicalità – giova anche all’industria: se il mega-cliente andasse in bancarotta, a chi potrebbe poi vendere?
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