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Il Giro d’Italia. Sedicesima tappa – Galibier

A cura di Massimo Di Maio By 7 Luglio 2022No Comments
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di Massimo Di Maio

Nel 2016 il Giro d’Italia vide la vittoria del grande Alberto Contador, seguito dal nostro Fabio Aru che conquistò il secondo gradino del podio con alcune belle azioni personali, tra cui le vittorie di tappa a Cervinia e a Sestriere, nelle giornate immediatamente precedenti la conclusione della corsa.

Qualche settimana dopo, il primo sabato di luglio 2016, mi unii agli amici di Rivalta per il “famoso” giro Susa-Susa. Nel mio primo anno in Piemonte ne avevo sentito parlare, ed ora era giunta l’occasione di cimentarmici. Oltre 200 chilometri e oltre 4000 metri di dislivello, il giro completo prevede 4 vette ed è veramente indimenticabile. Alle prime luci dell’alba, parcheggiate le auto a Susa, iniziammo il giro salendo su al colle del Moncenisio. Ricordo un vento tremendo, in particolare sul falsopiano dopo il confine francese. La lunga e ventosa salita del Moncenisio ci ripagò peraltro con lo splendido panorama del lago e dei pascoli circostanti, su in vetta, prima di iniziare la discesa sul versante francese. Passammo Lanslebourg, Modane e poi salimmo al Col du Telegraphe; poi la breve discesa a Valloire e da lì il gigante, il Col du Galibier. Il colle si erge maestoso, i chilometri di salita sembrano infiniti e nelle gambe si faceva sentire la fatica dei chilometri percorsi fin là. Ricordo che, pur essendo i primi di luglio, in cima al colle c’era ancora ghiaccio a bordo strada e l’ultimo chilometro di strada, aperto alle bici, era chiuso alle automobili, che dovevano tagliare per la galleria. Dopo le foto di rito sul Galibier e un breve ristoro, scendemmo veloci giù fino al Lautaret e a Briançon, per poi affrontare l’ultima fatica di giornata, il Monginevro, che ci riportava in Italia, e via giù fino a Susa.

La bicicletta, come la scienza, non ha confini nazionali… Il ricordo di quella bella pedalata tra Italia e Francia mi dà l’occasione di parlare della bellezza delle collaborazioni internazionali. Molte volte, nella mia carriera, ho avuto la possibilità di collaborare con colleghi di altre parti del mondo. Nel 2006 – avevo poco più di trent’anni – iniziammo a lavorare a una metanalisi che mettesse insieme tutti gli studi che avevano confrontato due modalità diverse di somministrazione della chemioterapia con docetaxel nel tumore del polmone. Oltre al nostro studio DISTAL, condotto in Italia, erano disponibili uno studio francese, uno studio tedesco, uno studio spagnolo e uno studio coreano, tutti abbastanza piccoli per dare una risposta definitiva al quesito, ma tutti sufficientemente simili da poter essere analizzati insieme. L’unione fa la forza, è il caso di dire, nello sport come nella scienza, e sicuramente mettere insieme tutti gli studi aiuta a dare risposte più solide al quesito.

Lavorare alla mia prima meta-analisi con dati individuali dei pazienti fu un’impresa stimolante, anche se molto impegnativa. Mettere insieme i dati dei singoli studi a partire dai database (spesso nella lingua originale, incluso il coreano…), confrontarsi continuamente con gli altri autori, produrre un dato che poi sarebbe stato pubblicato sul “Journal of Clinical Oncology” e citato da tante linee guida fu una grande soddisfazione. Sicuramente non l’ultima, perché negli anni successivi, come le uscite in bici, si sono susseguite anche altre collaborazioni internazionali. Nel 2009, ad esempio, la collaborazione con greci, olandesi e giapponesi per la metanalisi sul confronto tra chemioterapia con un singolo farmaco e con due farmaci nella terapia di seconda linea del tumore del polmone; nel 2012, la collaborazione con svizzeri, greci, giapponesi e inglesi per la metanalisi di confronto tra cisplatino e carboplatino nel microcitoma polmonare; nel 2014, la collaborazione con coreani, inglesi, danesi, svedesi e portoghesi per la metanalisi di confronto tra diverse durate della chemioterapia di prima linea per il tumore del polmone. Tutte tappe complicate, molto lunghe, portate a termine con un grande lavoro di squadra.

Molto più recentemente, una grande soddisfazione è stata poter coordinare le linee guida che l’ESMO ha voluto dedicare all’impiego dei patient-reported outcomes nella pratica clinica per i pazienti oncologici. Un argomento che, come sa bene chi mi conosce, mi sta molto a cuore da vari anni. Lavorare alle linee guida è stata un’esperienza faticosa, ma molto gratificante. Non è stato facile mettere insieme i punti di vista di esperti americani, canadesi, francesi, tedeschi, inglesi, cinesi, australiani, ma sicuramente il risultato è più equilibrato e “globale” rispetto a quanto avrebbe potuto produrre il lavoro di una nazione sola. Come per le uscite in bici, spero che anche la lista delle collaborazioni internazionali future sia ricca almeno quanto quelle fatte finora…

Far passare la tappa 2016 del mio giro d’Italia sulla cima del Galibier, in terra francese, vuole essere un omaggio all’assenza di confini, nel ciclismo come nella scienza, e un inno alle collaborazioni internazionali, nonché un ringraziamento a tutti i colleghi stranieri con i quali ho avuto la possibilità di lavorare in questi anni. Quando si pedala all’estero cambiano i segnali stradali, cambiano le strisce sull’asfalto, ma la bicicletta è la stessa e la soddisfazione all’arrivo la stessa. Lavorando con colleghi di altre nazioni ci si confronta con punti di vista diversi, diverse realtà di lavoro, modalità di raccolta dati differenti, ma alla fine ci si rende conto di puntare allo stesso obiettivo e di pedalare nella stessa direzione. Quando in bici incontro ciclisti, anche all’estero, dico sempre “ciao”, anche se so che loro risponderanno in altre lingue… In quel momento, capiscono da una sola parola che sono italiano, e che siamo accomunati dalla stessa passione.

Dal Giro, per oggi, è tutto. Alla prossima tappa!