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Alessandro Comandone

A cura di Luciano De Fiore By 25 Luglio 2022Aprile 6th, 2023No Comments
Rubriche

Lavoro e formazione professionale

Direttore Dipartimento di Oncologia
Responsabile UO di Oncologia Medica
Fondazione Poliambulanza, Brescia

Nella formazione di un medico, contano i “Maestri”?
Moltissimo. Anche e soprattutto perché sono rari.

Nella sua formazione, può dire di avere avuto un Maestro o una Maestra?
Certamente: il professor Alessandro Calciati come semeiotico e oncologo quando muovevo i primi passi. Poi, il professor George Mathé, un maestro di scienza e di clinica. Mi ha insegnato a lavorare in team multidisciplinari. Allora il medico era un lupo solitario. Oggi tutti dicono di fare visite multidisciplinari. Sarebbe bello verificare come. Voglio ricordare anche David Machover, mio tutor quando ero a Villejuif. E Gaetano Bacci che mi ha fatto da maestro e amico nel trattamento dei pazienti con sarcomi e mi ha permesso di pubblicare ad alto livello (JCO). Due nomi ancora: Franco Cavalli come scienziato e come organizzatore e Silvio Garattini come farmacologo.

Ha passato periodi di studi all’estero dopo la laurea? Se sì, dove e per quanto tempo?
Sì, 12 mesi a Villejuif, purtroppo non continuativi dal professor Mathé. Poi quattro mesi al MD Anderson da Robert Benjamin, altra mente fine. In Svizzera, alla scuola ESMO di Monte Verità di farmacologia clinica dal professor Cavalli per tre edizioni. Infine, in Italia al Rizzoli da Nino Bacci, Mario Campanacci e Piero Picci.

Le principali ragioni per cui ha scelto la sua professione…
Nel 1976, al secondo anno di Medicina, decisi che volevo gettarmi in un campo oscuro e ancora estremamente frustrante: l’oncologia, per il gusto della sfida e per cercare di fare qualcosa di importante. Illusioni del giovane…

Qual è la maggiore soddisfazione da lei avuta nella vita professionale?
1994: al Congresso nazionale AIOM in presentazione orale introdussi il concetto di cronicizzazione della malattia cancro. Ho poi perseverato in questa mia intuizione, presentandola in articoli di diverso livello. I miei coetanei ancora me ne riconoscono il merito. In precedenza se ne già era accennato in Letteratura in almeno due lavori sul carcinoma della mammella e sui linfomi di basso grado, ma la mia era sicuramente una posizione di avanguardia e di rottura che suscitò curiosità. Consideriamo che nel 1994 non esisteva né la target therapy né la immunoterapia. Ma quanto predissi si avverò ed oggi tutti parlano del cancro come di una malattia cronica.

E la più grande delusione…
Tornato da Villejuif dove David Machover mi aveva introdotto nei suoi studi con fluoro e folati nel carcinoma del colon, iniziammo a Torino una sperimentazione con una forma pura di acido folico: il metiltetraidrofolato, sintetizzato da una piccola azienda farmaceutica italiana. Ricordiamo che allora il Lederfolin era molto impuro essendo una miscellanea di racemi. Con il dottor La Ciura inviai il nostro studio a “Cancer Treatment Reports” . Ci fu restituito in una settimana (!!!) ovviamente “Rejected” . Vi era un’unica annotazione: un grosso punto interrogativo su methyltetrahydrofolic acid. Il revisore non era andato oltre il titolo. Di tutte le nostre speculazioni non gliene importava nulla. Non sapeva che cosa fosse quella sostanza e aveva distrutto il lavoro.
Solo un anno dopo David Machover e Nicholas J. Petrelli pubblicavano sulla forma pura di Lederfolin con la massima risonanza. Ma non erano giovani, e soprattutto non erano italiani.

Qual è la parte del lavoro di medico più gratificante?
L’incontro con i pazienti e lo studiare costantemente.

E la più noiosa?
Ovviamente la burocrazia. Veramente insopportabile, soprattutto se gestita da personale amministrativo non sensibile alla cura del Paziente. Anche le norme sulla Privacy vengono spesso interpretate nel modo più restrittivo e stanno diventando un incubo, sia per garantire l’assistenza sia per fare ricerca clinica. Per fortuna, anche nei Comitati Etici vi sono persone sagge che ci indirizzano correttamente e non dicono sempre “impossibile”.

Sfide e scommesse

Quale sarebbe la prima cosa che cercherebbe di fare se fosse Ministro della salute?
Capire se il SSN sia ancora sostenibile. Se no, dirlo con chiarezza ai cittadini senza ricorrere ai soliti mezzi, come imporre i ticket e non assumere medici e infermieri, allungando le liste di attesa, per indurre a ricorrere al privato out of pocket.

Cambiamo ambito: se fosse Ministero dell’università e della ricerca?
Dare più ordine alla ricerca. Cercare di capire perché dal 1986 noi italiani abbiamo vinto due Nobel per la Medicina (Rita Levi Montalcini e Capecchi, entrambi per studi fatti negli USA ), mentre i tedeschi cinque e i britannici nove. Qualcosa non va nella nostra organizzazione o nella nostra testa. Siamo certi che, come ci diciamo sempre, noi italiani siamo così geniali? Magari siamo grandi artisti e nella sanità ottimi clinici, ma con qualche problema nella ricerca di base e farmaceutica . Pensiamoci…

E se fosse Consigliere scientifico del Governo?
Identificare pochi campi specifici di ricerca, costituire delle task force intorno agli IRCCS o a poche Università. Valutare come avviene per noi Direttori Ospedalieri Clinici i risultati raggiunti e le energie economiche e umane impiegate. Premiare i virtuosi, e per contro non garantire una fiducia perpetua a chi non produce nulla di rilevante per anni.

Quale politico inviterebbe volentieri a cena?
Per lucidità di analisi politica Matteo Renzi. Purtroppo per lui, alcuni suoi atteggiamenti spregiudicati non gli creano consenso e simpatia. Se invece parliamo di “interviste impossibili” vorrei avere a cena Camillo Cavour. Gran piemontese e grande Italiano.

La famiglia Comandone

Lettura, scrittura, aggiornamento

Come trova il tempo di scrivere e dove?
Non sono un grande scrittore o pubblicatore, ma mi piace spaziare dall’articolo scientifico di revisione o di organizzazione sanitaria, alla storia della medicina. Scrivo il sabato e la notte, essendo un insonne.

Il refuso più “pericoloso” che le è sfuggito di mano…
Quando una mia specializzanda ed io inviammo lo stesso articolo a due riviste diverse all’insaputa uno dell’altro. Un vero segno di italianità: nell’équipe talora non ci si parla. Fu una brutta figura.

Qual è il commento più memorabile che ha ricevuto da un referee?
A seguito di una faticosa metanalisi sulle terapie di prima e seconda linea nei sarcomi dei tessuti molli metastatici uno dei referee, dopo averci richiesto una dura major revision si espresse con “a great overview on one of the most difficult area of Medical Oncology”. E mi ripagò di tutti i rifacimenti che avevo dovuto subire con il coatore Fausto Petrelli.

Ma la peer review… funziona come filtro di qualità della ricerca?
Sarò ingenuo ma credo ancora di sì. In fondo è sempre difficile rimettersi al giudizio talora severo degli altri. Ma ti fa crescere e migliorare.

Quale rivista scientifica segue con particolare interesse?
Il JCO e the New England Journal of Medicine.

Ritiene che l’impact factor sia ancora un indicatore di cui fidarsi?
Non sempre o non più tanto, da quando molti studi apparentemente pianificati e scritti da oncologi, in realtà nascondono perfette organizzazioni di statistici supportati dalle aziende farmaceutiche con risultato positivo pressoché scontato.

Ha mai scritto una poesia? O ha mai sognato di scrivere una poesia?
Sì. ne ho scritte. Ma le trovo modeste. Quella che ricordo meglio è in dialetto piemontese per mia figlia che compiva 18 anni.

E un diario?
Solo in viaggio. Gli unici diari che ho tenuto erano durante i numerosi viaggi intercontinentali che ho fatto nella mia vita.

Quale libro ha sul comodino?
Tanti, perché sono un divoratore di libri, favorito dall’insonnia. Generalmente uno di storia, uno di montagna o di viaggi e uno di letteratura.

Qual è l’ultimo libro che ha regalato?
Quando Torino tornò capitale di Aldo Cazzullo ad un amico di Napoli. Io amo la mia città, sempre pronta a innovare e a farsi rubare le idee. È un libro sulla grande Torino degli anni Sessanta, quella di Bobbio, Vattimo, Lana, Jacomuzzi, Dogliotti, Mottura, Olivetti, Valletta…

Il libro che vorrebbe portare su un’isola deserta?
I promessi sposi o lo Zibaldone di Leopardi.

Quale libro suggerirebbe ad un giovane oncologo in formazione?
La morte e il morire di Elisabeth Kübler-Ross, perché capisca che vita dura lo aspetta.

I suoi scrittori preferiti?
Leopardi, Manzoni, Pirandello, Orazio, Cervantes. M anche Hugo, Conan Doyle, Steinbeck e Conrad.

Parliamo di congressi: ASCO o ESMO?
Per adesso, ancora ASCO. Ma ESMO sta crescendo bene. Dovrebbe però smettere di mescolare oncologia dei tumori solidi ed ematologia. È un tentativo dispersivo e privo di connessioni. Le due specialità ormai sono indipendenti e lontane.

Ha ancora senso un congresso specialistico nazionale?
Sì, se fatto seriamente e senza condizionamenti da parte dell’industria.

Congressi: meglio online o di persona?
Online gli advisory board e le riunioni tra pari. In presenza i veri congressi scientifici.

Usa i social media come strumento di aggiornamento?
Molto poco. Ho paura della bufala.

Ricordi, passioni e...

Qual è stato il suo primo “esame”?
Lasciare la famiglia ed andare in collegio, in prima media. E anche il primo bivacco in parete perché eravamo saliti troppo lentamente.

Ha delle paure nascoste che può confidarci?
La siccità. Tutti mi prendevano in giro. Ora che è realtà mi guardano come una Cassandra.

Il più bel ricordo?
La nascita dei figli.

Qual è il suo più grande rammarico?
Non aver salito un Ottomila, quando ero un buon alpinista. Ma allora lassù salivano solo i superuomini come Messner e Kukushka. Solo venti anni dopo nacque il turismo estremo sugli ottomila. Ma ormai ero vecchio e spendere 120 000 dollari non mi faceva comodo.
Forse non essere rimasto a Villejuif quando George Mathé me lo chiese e tornare in Italia a fare guardia medica perché qui altro lavoro non ce n’era.

Una lettera che non ha mai spedito?
A mio padre e mia madre per ringraziarli e me ne pento.

Le parole che non ha mai detto?
Parole che soffochino la speranza nei malati, nelle famiglie ma anche nei propri collaboratori.

Il compleanno più bello?
I 60 anni sulla Punta Gnifetti / Capanna Margherita a 4559 metri e dire “ce l’ho ancora fatta!”

C’è qualcosa a cui non rinuncerebbe?
Alla montagna.

E qualcosa a cui vorrebbe rinunciare?
Ai giorni di tensione o di scontro. Ma è la vita.

Una cosa che la appassiona?
Lo studio e la montagna (scusate se mi ripeto)

In cucina preferisce stare al tavolo o ai fornelli?
A tavola, ma non sono un buongustaio: troppe cene nei rifugi alpini e troppe domeniche con un panino tra un tiro e l’altro di corda.

Si mangia per sopravvivere o per godere?
Purtroppo, per me più per sopravvivere.

Veg o carne?
Più carne, ma dieta varia.

Che cosa ama di più del suo Paese? E cosa meno?
La capacità di risollevarsi dell’italiano anche di fronte a disgrazie inaudite. Penso ai miei genitori e ai loro coetanei dopo il disastro della Seconda Guerra Mondiale. Poi, la capacità di appianare i contrasti. In fondo carneficine come nella ex Jugoslavia noi non ne abbiamo mai avute. Furono grandi infine i cittadini, le forze dell’ordine e perché no i politici nel vincere i terrorismi bipolari degli anni 70 e 80.
Per contro detesto la propensione del nostro popolo a non mantenere la parola data e a non avere senso civico. Rilevo poi una crescente maleducazione in tutte le fasce di popolazione.

Con la famiglia in vetta al Monte Rosa

Quale musica ascolta e dove?
Musica classica tardobarocca e tardo romantica, fino a Mahler. Dove? In auto, a casa, mentre studio.

Il suo film preferito?
Mission. È una tragica versione reverse dei Promessi sposi: gli umili ci rimettono sempre.

Treno, auto o aereo?
Se posso auto, ma ormai le nostre autostrade e anche quelle francesi sono dei nastri ininterrotti di auto in coda.

Lo sport preferito?
Alpinismo, escursionismo, sci fuori pista come praticante. Calcio come spettatore.

Mare o montagna?
Montagna, anche se ho un grande rispetto per il mare e per gli uomini di mare.

La vacanza più bella?
Sulle Ande Peruviane.

La città italiana che più ama?
Roma se la sapessero proteggere e curare un po’ meglio.

La città europea più bella?
Parigi, ma immondizia a parte, ha gli stessi problemi di Roma. Ovunque vai, fai code e sei schiavo del turismo di consumo.

Curiosità

Qual è la prima “pagina” che guarda sul giornale?
Quella di politica interna.

Carta stampa o giornali online?
Carta stampata.

La televisione serve a guardare…
Telegiornale, documentari e sport.

Chi le telefona più spesso?
Colleghi, pazienti, moglie, amici, figli (contate effettivamente su tre giorni medi)

Il momento migliore della giornata: l’alba o il tramonto?
L’alba: si apre un nuovo scenario. Bello o brutto è sempre nuovo.

E il miglior giorno della settimana?
Il giovedì. È come un cinquantenne maturo ma ancora forte. Dai il meglio.

Sulle amate Alpi