
La qualità di vita riportata negli studi oncologici è il tema scelto per il primo corso organizzato in Italia dall’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM) congiuntamente all’American Society of Clinical Oncology (ASCO). Cento giovani oncologi, provenienti da diversi Paesi, grazie anche ad alcune borse offerte da AIOM perfino da Vietnam, India e Nepal, hanno partecipato a Roma alle due intense giornate di studi del Clinical Research Course, condotto da una prestigiosa faculty italo-americana.
Se l’attività di sperimentazione clinica in tutto il mondo è stata forte nel 2022, dopo il calo indotto dalla pandemia, molte tendenze indicano negli Stati Uniti una ripresa della tendenza pre-COVID, tra cui un ulteriore calo della rappresentanza delle diversità negli studi clinici condotti negli USA. Per esempio, i pazienti neri e ispanici continuano ad essere sottorappresentati in oncologia, disciplina che peraltro rappresenta da sola il 40% di tutte le sperimentazioni statunitensi. Ciò ha fatto sì che la diversità nei trial clinici statunitensi scendesse al livello più basso del decennio (rapporto IQVIA “Global Trends in R&D 2023”).
Anche per questo il tema scelto per il corso romano, il primo in diretta collaborazione tra AIOM e ASCO, è così caldo. D’altra parte, nel quinquennio 2017-2021 si è registrata un’accresciuta attenzione per la qualità di vita come endpoint negli studi rispetto ai cinque anni precedenti. Attualmente questa percentuale si attesta quasi al 70%, ma soltanto nel 52,1 % dei casi i dati vengono effettivamente pubblicati (un numero invece più basso rispetto al passato). Lo attestano i risultati di uno studio italiano appena pubblicato su BMJ Oncology che ha confrontato 388 trial del periodo 2017-2021 con 446 trial del 2012-2016. La rilevanza della qualità di vita come endpoint primario potrà ulteriormente venir valorizzata quando nei trial si riporteranno gli esiti riferiti dai pazienti stessi: «I patient reported outcomes (PRO) sono l’insieme dei sintomi che misurano la qualità della vita dei pazienti durante un trattamento, per valutarne l’impatto. I PRO sono quantificati grazie a questionari standardizzati e validati sui quali i malati possono riportare direttamente, senza alcun filtro, gli eventuali effetti avversi. Essi forniscono informazioni importanti sul valore dei trattamenti, ma ancora in troppi casi non trovano spazio nelle riviste scientifiche», ha commentato il Presidente AIOM Saverio Cinieri.
«È importante», gli ha fatto eco Massimo Di Maio, Segretario AIOM, coordinatore delle linee guida ESMO proprio sui PRO, «che le società scientifiche facciano formazione su questi temi e creino occasioni di discussione, perché aumenti sempre di più nei clinici la consapevolezza dell’importanza di adottare questi strumenti nei trial e della tempestività con cui comunicare e pubblicare dati». Sulla qualità metodologica degli studi real world insiste invece Giuseppe Curigliano, membro del Direttivo Nazionale AIOM. «La real world evidence offre diverse opportunità, ad esempio permette di descrivere i risultati di un farmaco in una popolazione eterogenea nella pratica clinica quotidiana, integrando i dati degli studi clinici condotti prima dell’autorizzazione all’impiego nella pratica clinica. Inoltre, i dati di ‘vita reale’ consentono di focalizzarsi su popolazioni speciali, spesso sottorappresentate negli studi registrativi, e di produrre evidenze in stadi di malattia per i quali non esistono trial randomizzati e controllati».
«Esiste ancora un gap fra studi registrativi e real world evidence», è la riflessione di Francesco Perrone, Presidente eletto AIOM. «Servono studi di sequenza terapeutica, di confronto testa a testa e adattivi, in grado cioè di aggiornarsi con l’evoluzione degli scenari diagnostici e terapeutici. E gli endpoint a cui fare riferimento devono essere solidi, includendo sopravvivenza, qualità di vita e tossicità». Dati del genere avrebbero ricadute positive anche dal punto di vista regolatorio. A questo scopo, prosegue Perrone, accanto ai grandi studi registrativi ed ai trial promossi meritoriamente dall’industria, «serve una ricerca indipendente più forte, promossa dal Servizio sanitario nazionale, capace di rispondere a questi bisogni. Non dovremmo considerare impossibile l’obiettivo di tornare a quel quasi 30% di studi indipendenti di dieci anni fa, quando ormai oggi, in Italia, solo un quinto degli studi su nuovi farmaci è indipendente».
Il corso è stato seguito con grande interesse dai giovani oncologi partecipanti. Saverio Cinieri, in chiusura, ha dunque auspicato che questa esperienza congiunta possa avere un seguito e che in futuro gli incontri di lavoro AIOM-ASCO possano divenire un “classico” nella formazione dei giovani oncologi.