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Tumore renale metastatico: oltre l’efficacia, la migliore terapia per ogni paziente

By 11 Ottobre 2013Novembre 12th, 2013No Comments
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La valutazione di un nuovo farmaco da tempo non si basa più solo sui parametri classici di efficacia e tollerabilità. Già nel 1996, la American Society of Clinical Oncology (ASCO) distinse gli endpoint in due categorie: quelli che testimoniano l’attività di un trattamento contro il tumore (la risposta obiettiva, la sua durata, il TTP e la PFS) e quelli che rappresentano un beneficio per il paziente (la sopravvivenza, la qualità di vita e la tossicità). Oggi, dopo quasi vent’anni, la qualità della vita del paziente e il suo giudizio soggettivo sul trattamento intrapreso, costituiscono un endpoint primario, di cui tener conto anche nel disegno degli studi clinici.

La patient satisfaction pesa sempre di più nella considerazione del giusto valore da dare ad una molecola.

Tant’è che la FDA ha di recente indicato qualità della vita, preferenze e soddisfazione del paziente (che concorrono ai Patient Reported Outcomes) come parametri essenziali nella valutazione dei farmaci.

Lo studio COMPARZ (COMparing  the efficacy, sAfety and toleRability of paZopanib vs. sunitinib), i cui risultati sono stati da poco pubblicati sul “New England Journal of Medicine”, è un esempio di quanto possano rivelarsi rilevanti gli aspetti che attengono la qualità della vita del paziente con tumore renale metastatico.

Sono stati randomizzati 1110 pazienti con carcinoma renale metastatico a cellule chiare, in un rapporto 1:1 a ricevere una dose di pazopanib in modo continuativo (800 mg una volta al giorno; 557 pazienti) o sunitinib in cicli di somministrazione di 6 settimane (50 mg una volta al giorno per 4 settimane seguite da 2 settimane senza trattamento; 553 pazienti).

L’endpoint primario era la sopravvivenza libera da progressione (PFS, secondo valutazione indipendente). Gli endpoints secondari includevano sopravvivenza complessiva, sicurezza e qualità della vita.Pazopanib ha dimostrato la non inferiorità rispetto a sunitinib in termini di PFS (hazard ratio: 1.05, 95% IC: 0,90-1,22)La PFS mediana è risultata di 8,4 mesi (95% IC 8.3, 10.9) per pazopanib e di 9,5 mesi (95% IC IC 8.3, 11.1) per sunitinib. La sopravvivenza totale mediana (endpoint secondario dello studio) è stata di 28,4 mesi nei pazienti trattati con pazopanib e di 29,3 mesi in quelli con sunitinib.

COMPARZ ha evidenziato però un risultato migliore e statisticamente significativo in favore di pazopanib in 11 dei 14 domini di valutazione sulla qualità della vita, tra i quali fatigue, mucositi, eritrodisestesia palmo-plantare (molto fastidiosa per il paziente, a volte impossibilitato addirittura a camminare). La valutazione di questi parametri diviene quindi molto importante all’atto dell’individuazione della migliore scelta terapeutica, a parità di efficacia tra i farmaci.

I risultati dello studio COMPARZ in termini di QoL vengono confermati da un altro trial randomizzato, il PISCES (non ancora pubblicato, ma di cui è già stata data comunicazione in importanti congressi),  che osserva la significatività delle differenze di tollerabilità tra i due farmaci (pazopanib e sunitinib) al punto da indurre il paziente a preferire l’uno o l’altro farmaco nella scelta della prosecuzione del trattamento. Nella prima analisi emerge in particolare che fino al 70% dei pazienti preferisce pazopanib, mentre sunitinib è preferito dal 22% e l’8% non ha alcuna preferenza. Anche i medici (60% vs. 21%) preferiscono pazopanib a sunitinib, mentre il 19% non dichiara preferenze.

Sia PISCES che COMPARZ dimostrano una novità rilevante: la miglior tollerabilità di pazopanib in confronto a sunitinib.

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