Da quarant’anni si attendeva una notizia positiva per la terapia del più comune tra i tumori della tiroide, il tumore differenziato della tiroide resistente al trattamento, che colpisce circa l’85% dei 60mila casi annui diagnosticati nei soli Stati Uniti. Secondo lo studio di fase III DECISION, il sorafenib arresta la progressione per cinque mesi in pazienti con tumore della tiroide differenziato metastatico, in progressione nonostante il radio-iodio standard (RAI).
Sebbene questo tumore abbia di solito alti tassi di cura grazie al trattamento standard (chirurgia e RAI), il 5% dei pazienti sviluppa in ogni caso una resistenza. In costoro, l’unica terapia fin qui approvata, la doxorubicina, è utilizzata raramente a causa della bassa efficacia accompagnata purtroppo da un’alta tossicità. Il dato dell’ASCO quindi dimostra per la prima volta l’efficacia per questa indicazione di un inibitore della chinasi valutato in un trial clinico di notevole ampiezza.
«Dopo molti anni senza farmaci efficaci per questa coorte di pazienti, è davvero notevole riscontrare un farmaco orale in grado di arrestare la crescita del tumore per diversi mesi», osserva Marcia Brose (Abramson Cancer Center, Philadelphia). «Per questi pazienti una più lunga PFS significa più mesi senza ospedalizzazione e senza procedure invasive per controllare il dolore e gli altri sintomi. Per la prima volta, un trattamento sistemico può davvero tornare utile».
Com’è noto, il sorafenib – già approvato per il tumore renale avanzato e per il tumore del fegato inoperabile – è un farmaco a bersaglio molecolare plurimo è una piccola molecola che inibisce selettivamente la Raf chinasi, il PDGF, il recettore per il VEGF 2-3 e il c-KIT.
Nello studio, 417 pazienti con tumore della tiroide metastatico resistente alla RAI sono stati randomizzati per ricevere sorafenib o placebo. I pazienti sono stati autorizzati a passare a sorafenib in caso di progressione di malattia. La PFS mediana è risultata di 10,8 mesi nel gruppo con sorafenib, contro i 5,8 mesi del braccio con placebo. Nel braccio trattato con il farmaco, è stata osservata una riduzione del tumore nel 12,2% dei casi, mentre nel braccio placebo solo nello 0,5%. In un ulteriore 42% dei pazienti trattati con sorafenib è stata osservata una stabilizzazione della malattia di 6 mesi o più, per un tasso di controllo di malattia del 54%, a petto del 34% nel braccio placebo. I dati sulla sopravvivenza non sono ancora maturi.
«L’aggressività di questo tipo di tumore della tiroide fa sì che esistano poche opzioni terapeutiche,per cui questi dati rinfocolano le speranze per i pazienti così come per i terapeuti. Il sorafenib dimostra un’attività significativa per questi pazienti, raddoppiando quasi la PFS. In futuro saremo in grado di identificare quali pazienti possono beneficiare al meglio di questa terapia e se e quali altri farmaci a bersaglio molecolare potranno ulteriormente migliorare l’outcome di questi pazienti», sostiene Gregory Masters, portavoce ASCO ed esperto dei tumori testa-collo.
Sono previsti ulteriori analisi dei dati di questo studio clinico al fine di rintracciare marcatori in grado di aiutare nell’identificazione di pazienti che possano rispondere al meglio al sorafenib e di quelli che potrebbero necessitare di una terapia ulteriore.