Grazie ai dati di un vasto studio clinico presentato a Chicago, una terapia target molecolare entra per la prima volta come valida strategia nel trattamento del carcinoma ovarico.
I risultati dello studio presentato in sessione plenaria da Robert A. Burger dimostrano che l’aggiunta di bevacizumab alla chemioterapia standard in donne affette da carcinoma ovarico avanzato, sia in combinazione che in mantenimento, migliora significativamente la sopravvivenza libera da malattia. Le donne trattate anche con bevacizumab non hanno visto peggiorare la propria malattia prima di 14,1 mesi in media, contro i 10,3 mesi delle donne trattate con terapia standard.
Lo studio clinico multicentrico randomizzato in doppio cieco, placebo controllo, di fase III, è stato condotto da una rete di ricercatori (Gynecologic Oncology Group, GOG), sponsorizzato dall’US National Cancer Institute.
Secondo Burger, i dati segnano un progresso rilevante, anche se ancora non in termini di sopravvivenza, anche perché lo studio è giovane ed il monitoraggio abbastanza breve. Prima di oggi, le uniche armi contro i tumori dell’ovaio erano agenti chemioterapici piuttosto tossici.
Lo studio ha arruolato 1873 donne non previamente trattate con malattia avanzata, in 336 centri di quattro Paesi (USA, Canada, Giappone e Corea del Sud). Le donne erano state randomizzate in tre bracci: il primo a chemioterapia standard e placebo, seguita da terapia di mantenimento fino a 10 mesi; il secondo a chemioterapia standard più bevacizumab, seguita da terapia di mantenimento; il terzo braccio a chemioterapia standard più bevacizumab, seguito da mantenimento con bevacizumab. Tipologia e frequenza degli effetti collaterali sono stati simili a quelli rilevati in altri studi clinici con la stessa molecola. Il braccio che ha dato migliori risultati è stato quello trattato con bevacizumab anche in mantenimento.
Il costo stimato per un ciclo di terapia di 48 settimane negli USA è di 200mila dollari. Ma non è solo l’aspetto economico a interrogare la comunità oncologica: per ottenere un intervallo aggiuntivo libero da malattia di 4 mesi, le pazienti devono infatti assumere in vena il farmaco ogni tre settimane.