Skip to main content

Non così elementare, Watson!

By 17 Novembre 2016Maggio 12th, 2021No Comments
NewsTemi

Pochi strumenti tecnologici nella storia sono stati sostenuti da una campagna promozionale tanto intensa ed enfatica come Watson, il sistema computazionale avanzato sviluppato da IBM circa cinque anni fa e divenuto celebre anche presso il grande pubblico per aver battuto due superesperti umani durante lo show televisivo “Jeopardy!”.

Watson ‒ battezzato così in onore di uno storico dirigente della IBM e non certo del partner di Sherlock Holmes, il cui acume investigativo peraltro era molto scarso ‒ è stato implementato allo scopo di risolvere problemi fuori portata anche per i supercomputer, ma non (o non soltanto) a livello accademico, bensì nel mondo del business, in diverse e potenzialmente infinite declinazioni. Una di queste, forse la più delicata, è quella della Medicina. Il piano di IBM era di “mettere al lavoro” Watson ‒ che tra l’altro è capace di comprendere e decrittare istruzioni vocali anche molto complesse, cioè in un certo senso di “capire” il linguaggio umano ‒ su problemi talmente complessi da sembrarci insolubili, tipo “la fame in Africa” o “la cura per il cancro”. Per affrontare questa seconda sfida l’azienda ha avviato tre anni fa una partnership con l’University of Texas’s MD Anderson Cancer Center e il Memorial Sloan Kettering Cancer Center di New York: gli oncologi da allora “addestrano” Watson a comprendere i sintomi dei vari tumori in modo da fare diagnosi più accurate possibile ed elaborare le migliori strategie terapeutiche per i singoli pazienti.

Le cose, purtroppo, non stanno andando lisce come l’IBM si aspettava. “Non siamo per niente al punto in cui prevedevamo di essere”, spiega Lynda Chin, direttrice del Dipartimento Innovazione dell’University of Texas. “Trasformare un computer campione di Rischiatutto in un esperto di Oncologia si sta rivelando difficile come sembra a dirlo. Parte del problema sta nell’interpretazione dei dati real-life. Watson trova più arduo del previsto non solo decrittare le informazioni spesso incomplete o imperfette fornite dagli esseri umani, ma anche superare un vero e proprio blocco epistemologico: in un gioco come “Jeopardy!” c’è sempre una risposta esatta, bisogna solo individuarla. Nel mondo dell’Oncologia spesso ci sono solo opinioni ragionevoli. Ma sono ancora convinta che Watson possa portarci dove vogliamo arrivare, serve solo più tempo”.

All’University of North Carolina School of Medicine hanno messo alla prova Watson, che si è dimostrato in grado di effettuare le stesse scelte terapeutiche degli oncologi umani in quasi la totalità dei casi e nel 30% dei casi addirittura di individuare un’opzione terapeutica trascurata dagli specialisti. Come ha fatto? Il segreto di Watson è che è in grado di “leggere” tutta la letteratura scientifica pubblicata, quasi 170.000 paper solo in Oncologia ogni anno.

“Watson è la Precision Medicine all’ennesima potenza”, ha commentato su Twitter l’oncologo Vinay Prasad dell’Oregon Health and Science Institute. “Ma non abbiamo ancora argomenti per poter essere certi che la medicina di precisione sia una prospettiva sorretta da prove”. Le sue perplessità si riferiscono anche alla percentuale di correlazioni che il sistema dell’IBM è in grado di determinare: il 90% di quelle che riesce a formulare un clinico, a giudicare dai comunicati dell’azienda produttrice. Ma la percentuale è in aumento, osserva Prasad maliziosamente, con il susseguirsi delle comunicazioni dell’agenzia che cura le pubbliche relazioni dell’azienda. “Watson può sollevarci di parte dell’onere del fare diagnosi”, ha osservato Matt Kalaycio a margine di un entusiasta articolo uscito sulla rivista Fortune, “permettendoci di trovare più tempo da trascorrere col paziente e supportandoci nel decision-making”. “L’evidenza è che il sistema suggerisce terapie solo marginalmente attive”, ha replicato Prasad, “che non migliorano la sopravvivenza e aggiungono tossicità”. E la conclusione è feroce: “Watson può abbreviare la vita della persona malata, se lo confrontiamo con la migliore terapia di supporto. Watson può comportarsi peggio di un oncologo”.

Il dibattito sulle potenzialità di Watson non è affatto un esercizio accademico. L’IBM sta attraversando una crisi finanziaria profonda e per ritagliarsi un ruolo ancora preminente nel panorama tecnologico mondiale l’aggressiva Chief Executive Ginni Rometty ha puntato tutto su Watson. Nel 2014 è stata creata una business unit dedicata esclusivamente a Watson, che conta 10.000 addetti. Le stime di crescita sul prodotto parlano di un giro d’affari di 500 milioni di dollari generato nel 2016 che potrebbe toccare i 17 miliardi di dollari nel 2022. Ma molti addetti ai lavori sostengono che ormai Watson sia più un brand che un sistema tecnologico, e che si stia cercando di creare un alone di fascino e “hype” che accenda l’interesse dei vari potenziali clienti su tecnologie che in realtà non sono così rivoluzionarie come affermano di essere.

David Frati