
Lo screening del tumore prostatico attraverso l’antigeno prostata-specifico (PSA) e’ diffusissimo, nonostante la mancanza di prove sulle sua capacita’ di ridurre il numero dei decessi. Ad Amsterdam, Mathieu Boniol (Lione) ha presentato i dati di uno studio che dimostra che questa metodica porta piu’ danni che benefici.
Secondo Boniol, lo sperimentare impotenza ed incontinenza, la pesantezza quindi degli effetti collaterali delle terapie antitumorali, dovrebbe ulteriormente scoraggiore il ricorso allo screening col PSA: “Il test misura i livelli di proteine PSA, prodotti dalla ghiandola prostatica, nel sangue e puo’ contribuire a scoprire tumori precoci. Tuttavia, riteniamo che il test PSA debba essere utilizzato come un supporto aggiuntivo per la diagnosi e la gestione del carcinoma prostatico, piuttosto che come porta d’ingresso a biopsie ed altri esami. Bisognerebbe quindi prestare maggior attenzione agli effetti dannosi dello screening”.
La ricerca presentata all’ECC-2013 dimostra che, nel complesso, i tassi di morte per cancro prostatico sono dello stesso ordine di grandezza tra chi viene sottoposto allo screening mediante PSA e chi no, stimando che nel gruppo dei non sottoposti a screening si verificano 5,17 decessi per cancro della prostata, rispetto al 4,1 di decessi nel gruppo che ha subito lo screening PSA.
“Per evitare una morte per cancro alla prostata nei 1.000 uomini sottoposti a screening per PSA, il numero di biopsie raddoppierebbe con 154 ulteriori biopsie prostatiche, e, per 35 tumori in piu’ diagnosticati alla prostata, si avrebbero 12 casi di impotenza e tre di incontinenza. I danni derivanti dalla prescrizione routinaria del test del PSA possono impattare gravemente sulla qualità della vita dei pazienti, il che fornisce ulteriori elementi di prova contro il suo uso”.