
Mai come in questi giorni l’attualità ha raccolto contemporaneamente così tante voci di donne diverse, accomunate dal confrontarsi con una malattia oncologica. Sportive, scrittrici, giornaliste, attrici. Tutte alle prese con una forma tumorale e tutte disponibili a parlarne in pubblico, a dar conto dei cambiamenti comportati dalla malattia, delle loro ansie e delle loro speranze.
L’ultima è stata Martina Navratilova, ricevendo dalla Federazione Italiana Tennis la Racchetta d’Oro, premio di una carriera ineguagliabile, poco prima della finale degli Internazionali di Roma [CREDITS FOTO: AP-Photo, Alessandra Tarantino]. Navratilova ha rassicurato in italiano gli spettatori del Centrale circa le proprie condizioni di salute, dicendo di stare meglio e di sentirsi bene. Lo scorso gennaio, un linfonodo ingrossato aveva indotto la 66enne ex tennista ad un controllo: da lì la diagnosi di un tumore alla gola e poco dopo di un altro alla mammella, allo stadio iniziale. Dopo alcuni cicli di terapie, Martina – vincitrice di 59 titoli di Slam – è tornata in marzo al suo lavoro di commentatrice televisiva.
L’applauso riservatole dal pubblico del Foro Italico si è unito idealmente a quelli riscossi da Concita De Gregorio e da Michela Murgia, dopo le loro recenti interviste e dichiarazioni a proposito del loro faccia a faccia con il cancro. La giornalista e conduttrice televisiva de La7, intervistata in marzo da “Belve”, aveva risposto a un gossip che insisteva sulla sua capigliatura bionda stile-Meloni, dichiarando di portare una parrucca bionda non per somigliare alla Presidente del Consiglio, ma a causa di un tumore.
Michela Murgia ha anche addensato alcune delle riflessioni frutto dei suoi difficili, ultimi due anni in un libro (Tre ciotole. Rituali per un anno di crisi), un romanzo a incastro di storie in cui i protagonisti stanno attraversando tutti un cambiamento radicale che costringe ciascuno di loro a forme inedite di sopravvivenza emotiva. Per molti è il tumore la sopravvenienza che impone di sperimentare molte novità. Altre volte a stravolgere la vita ordinaria può essere invece un lutto, la perdita del lavoro, la fine di un amore, comunque un mutamento d’orizzonte che sembra non lasciare scampo. Per la scrittrice sarda la chiave per far fronte all’imprevisto è stata quella di avvicinarselo, di considerare il tumore alle ovaie come qualcosa di proprio: non un estraneo che l’aveva colpita dal di fuori, ma qualcosa che si era generato dal suo stesso corpo, segno tangibile dell’impasto di vita e di morte che ci contraddistingue: «Il cancro non è una cosa che ho; è una cosa che sono. (…) Il tumore è uno dei prezzi che puoi pagare per essere speciale. Non lo chiamerei mai il maledetto, o l’alieno». Per questo Murgia preferisce non riferirsi al cancro con termini bellici: no alla “guerra”, alla “battaglia”, alla “trincea”. Convivere col cancro, per un periodo più o meno lungo, è un’esperienza dura e difficile, non una battaglia dalla quale si esce sconfitti o vittoriosi.
Considerazioni analoghe le avevamo ascoltate solo qualche mese fa da Gianluca Vialli: Oncoinfo se ne era occupato, rilanciando un dibattito che sta oggi accompagnando il declino di quel linguaggio bellicista che fino a poco tempo fa veniva utilizzato per descrivere la malattia, esorcizzandola.