La qualità della vita assume sempre più rilevanza per il paziente, e condiziona a volte la stessa scelta della terapia, per quanto le differenze tra due o più trattamenti, dal punto di vista degli effetti secondari, possano sembrar modeste ai clinici. Malati che devono poi sottoporsi per mesi o anni a queste terapie possono averne però una percezione assai diversa.
Non vi è dubbio che negli ultimi anni si sia registrato un progresso notevolissimo nella terapia medica delle neoplasie renali in fase metastatica, con l’introduzione di molecole quali gli inibitori di tirosin-chinasi, i farmaci antiangiogenetici e gli inibitori di mTOR. A Chicago è stato presentato uno studio randomizzato in doppio cieco su pazienti affetti appunto da carcinoma renale metastatico, incentrato sulla percezione delle differenze in termini di qualità della vita sperimentate da pazienti trattati con due diverse terapie, pazopanib e sunitinib. La preferenza dei pazienti è andata al primo farmaco.
Lo studio è stato presentato da Bernard J Escudier (Institut Gustave Roussy): «Ci aspettavamo che i pazienti potessero preferire una terapia rispetto ad un’altra, sulla base dei profili di tossicità delle molecole, ma non ci attendevamo invece una così marcata preferenza. Si tratta di un eccellente metodo per dar conto del modo in cui i pazienti avvertono la tossicità dei farmaci. Ed è un rilevante promemoria del fatto che tossicità anche di basso grado possono nel lungo periodo risultare difficili da sopportare, con un riverbero diretto sulla qualità della vita dei nostri malati. Come si sentono i pazienti quando assumono un farmaco per molti mesi non viene colto dai consueti questionari sugli eventi avversi».
I dati riportati dai pazienti saranno quindi sempre di più valutati insieme a quelli tradizionali sull’efficacia, così da capire meglio la rilevanza clinica delle differenze nella tossicità tra le terapie.
Secondo Camillo Porta (tra i ricercatori dello studio), « questo studio ha davvero posto il paziente, le sue sensazioni e le sue esigenze, al centro dell’attenzione, in maniera molto più convincente rispetto agli usuali strumenti, freddi ed impersonali, che fino ad oggi si sono utilizzati in Oncologia per valutare tossicità e qualità della vita. Un altro dato molto forte emerso da questo studio è la scarsa attendibilità degli usuali strumenti di valutazione della tossicità nel catturare esattamente l’impatto dei trattamenti oncologici sulla quotidianità dei pazienti affetti da neoplasie, e da quella renale in particolare».
Il trial ha randomizzato 168 pazienti a pazopanib 800 mg per 10 settimane, seguite da un’interruzione di due, oppure a sunitinib 50mg per 10 settimane, o viceversa. Dei 168 pazienti, 126 hanno completato il questionario che è stato loro proposto. Nell’analisi basata sul protocollo su 114 pazienti, il pazopanib è stato preferito dal 70% dei pazienti, il sunitinib dal 22%, mentre l’8% non ha espresso preferenze. La differenza (49%) è statisticamente significativa (p <0.001).
Nel riferire le ragioni della loro scelta, i pazienti hanno motivato la preferenza per il pazopanib a causa della migliore qualità della vita che garantisce e per la minor fatigue causata, rilevata attraverso il questionario FACIT-fatigue .
I pazienti che avevano assunto pazopanib sono andati incontro meno frequentemente a riduzioni di dose rispetto a quelli che avevano assunto sunitinib (13% contro il 20%), come anche a un minor numero di interruzioni del trattamento (6% contro 12%).
Un segnale della diversità nella percezione tra medici curanti e pazienti in merito alla qualità di vita si evidenzia dal fatto che tra i medici la preferenza tra i due farmaci non è risultata così marcata: il 60% ha detto di preferire il pazopanib, il 21% il sunitinib ed il 21% restante non ha espresso preferenze.
Lo studio è stato finanziato da GlaxoSmithKline, produttore di pazopanib, ed ha coinvolto numerosi centri per la terapia dei tumori in Europa e negli Stati Uniti.