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Un nuovo PARP inibitore per il carcinoma ovarico BRCA+

By 8 Settembre 2017Aprile 7th, 2021No Comments
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Una terapia di mantenimento con rucaparib, un inibitore dell’enzima PARP, si associa a un incremento della sopravvivenza libera da progressione (PFS) nelle pazienti con carcinoma ovarico ricorrente con mutazione del gene BRCA. Nello studio di fase III ARIEL3, presentato come late-breaking trial al Congresso dell’European Society for Medical Oncology in corso a Madrid, tale aumento è risultato addirittura del 77%.

564 le pazienti analizzate, tutte affette da carcinoma ovarico risultato suscettibile, in prima o seconda linea di trattamento, a una chemioterapia a base di platino. Queste sono state randomizzate, in rapporto 2:1, per ricevere una terapia di mantenimento con rucaparib o un placebo. L’endpoint primario considerato era la PFS, misurata in modo sequenziale in 3 gruppi diversi: pazienti con mutazione BRCA (gruppo 1), pazienti con mutazione BRCA o BRCA wild type con perdita di eterozigosi (LOH) elevata (gruppo 2, definito come “ricombinazione omologa deficitaria” o HRD) e pazienti con intenzione al trattamento (gruppo 3, composto dall’intera popolazione di studio sottoposta a rucaparib). La terapia di mantenimento con rucaparib è risultata associata a un aumento della PFS in tutti e 3 gruppi considerati, rispettivamente da 5,4 mesi a 16,6 mesi (HR 0,23), a 13,6 mesi (HR 0,32) e a 10,8 mesi (HR 0,36) nei gruppi 1,2 e 3. “L’incremento maggiore è emerso nel gruppo caratterizzato dalla mutazione BRCA, dove questo è stato pari al 77%, – ha commentato Jonathan Ledermann, docente di oncologia del UCL Cancer Institute e primo autore della ricerca – ma tutti e tre i gruppi hanno mostrato dei benefici”. Le pazienti caratterizzata dalla mutazione BRCA wild type sono poi state suddivise in base ai livelli di LOH (bassi o elevati). Come previsto, l’incremento maggiore della PFS è emerso nel gruppo con LOH elevato, ma per entrambi i gruppi rucaparib è risultato più efficace del placebo. “Speravamo che l’LOH ci permettesse di distinguere tra rispondenti e non rispondenti, ma entrambe le categorie considerate hanno mostrato un beneficio significativo”, ha spiegato Ledermann. Inoltre, rucaparib si è dimostrato in generale ben tollerato, con solo il 13% delle pazienti che ha manifestato la necessità di interrompere il trattamento a causa degli effetti collaterali, un dato in linea con i precedenti studi di fase II. “Gli inibitori dell’enzima PARP costituiscono il maggiore avanzamento nel trattamento del carcinoma ovarico dall’introduzione, negli anni ‘70 e ‘80, degli agenti chemioterapici basati sul platino, – ha concluso Ledermann – e lo studio su rucaparib lo conferma”.

A commento dei risultati Andrés Poveda, direttore della Gynaecological Cancer Clinic dell’Oncology Foundation Institute di Valencia, ha sottolineato: “Il trial ARIEL3 ha raggiunto un ottimo risultato in termini di riduzione del rischio di ricaduta, tutti i sottogruppi di pazienti hanno mostrato dei benefici. In Europa è attualmente autorizzata la somministrazione dell’inibitore del PARP olaparib, – ha aggiunto – ma solo per i pazienti con mutazione BRCA. Siamo invece in attesa di una decisione su nirapanib. L’aggiunta di rucaparib potrebbe quindi far aumentare il numero di pazienti che possono trarre benefici da questa classe di farmaci”.

Fabio Ambrosino

▼ Ledermann J. ARIEL3: A Phase 3, Randomised, Double-Blind Study of Rucaparib vs Placebo Following Response to Platinum-Based Chemotherapy for Recurrent Ovarian Carcinoma (OC). Abstract LBA40_PR. ESMO 2017.