
Lo studio KEYNOTE-045 rappresenta probabilmente una pietra miliare nell’uso dell’immunoterapia nei pazienti affetti da neoplasia uroteliale in progressione, dopo chemioterapia a base di cisplatino. Di fatto, pembrolizumab è l’unico inibitore di checkpoint registrato in un setting di malattia avanzata a progressione di platino. Il dato è ormai noto: lo studio ha randomizzato i pazienti ad un trattamento con pembrolizumab 200 mg/tot ogni 3 settimane verso la scelta del clinico rispetto alle tre opzioni rappresentate da paclitaxel, docetaxel e vinflunina.
Figura 1: Disegno dello studio
Il disegno dello studio aveva come endpoint primario sia l’Overall Survival (OS) che la Progression Free Survival (PFS). Il dato saliente sicuramente è costituito da un vantaggio statisticamente significativo per tutta la popolazione trattata con l’immunoterapico. Anche in questo caso, come in molti trial, l’età mediana registrata nello studio clinico si discosta da quella riscontrata nel setting real world, il che genera sperequazione tra i dati raccolti negli studi e le esigenze del clinico, dal momento che la popolazione che viene seguita abitualmente nella pratica clinica è molto più anziana. Lo studio ha raggiunto i due endpoint primari – PFS e OS – e il dato riportato nell’abstract dell’ASCO 2021 di quest’anno non ha fatto che confermare quelli già conseguiti in precedenza, cioè una PFS ed una OS a vantaggio del braccio di trattamento con l’immunoterapico. Va sottolineato come il dato davvero rilevante sia rappresentato dalla tipologia di curve che si vanno a creare: dopo un iniziale vantaggio del trattamento chemioterapico – probabilmente legato al fatto che nella prima fase pembrolizumab impiega un periodo di tempo maggiore ad ottenere risposte – si registra in verità una maggiore efficacia del braccio di trattamento sperimentale che si mantiene, tra l’altro, in tutti i sottogruppi di pazienti. L’altro dato importante è rappresentato dall’Overall Survival: le curve infatti non si uniscono, inizialmente si intersecano per poi distaccarsi in maniera definitiva nel follow-up a 60 mesi.
Figura 2: Overall Survival
Un ulteriore aspetto, peraltro, va tenuto in considerazione: di fatto, oggi, l’anatomia patologica del tumore della vescica è decisamente cambiata. Si sta palesando un nuovo scenario nella classificazione della neoplasia uroteliale simile a quanto riscontrabile nel carcinoma mammario, con sottotipi di malattia luminal, basal-like e carcinomi di tipo neuroendocrino: una nuova classificazione che sembrerebbe impattare sulla risposta ai trattamenti immunoterapici. Il tasso di risposte ottenute nel braccio sperimentale dello studio risulta essere estremamente interessante in quanto comprende pazienti trattati in seconda linea (ORR del 21,9%). A cinque anni di follow-up, quindi con dati consolidati, i risultati evidenziano un vantaggio in termini di Overall Survival di 10,1 versus 7,2 mesi: il lungo tempo trascorso da quando si è iniziato ad utilizzare gli immunoterapici consente, inoltre, di gestirne facilmente gli effetti collaterali. Come ultimo dato si evidenzia che i pazienti che presentano una risposta completa radiologica vanno sicuramente incontro ad un andamento migliore della malattia rispetto a quelli con malattia stabile, anche per i quali peraltro il trattamento sembrerebbe avere efficacia.
Figura 3: Conclusioni
Ciò detto, l’unico competitor del pembrolizumab è utilizzato come mantenimento nei pazienti con carcinoma uroteliale metastatico – trattati con la combinazione a base di platino + gemcitabina – che abbiano ottenuto una risposta o stabilità di malattia. Va sottolineato come in questo caso l’immunoterapico sia impiegato in soggetti che abbiano ottenuto un controllo della malattia, mentre nello studio KEYNOTE-045 sono stati arruolati i pazienti in progressione dopo chemioterapia, ragione per la quale, ad avviso di chi scrive, risulta inappropriato comparare i due studi perché impreciso da un punto di vista metodologico. L’attuale scenario terapeutico nei prossimi anni si modificherà, visti i promettenti dati di adiuvante con nivolumab presentati al recente congresso ASCO 2021 relativi ai pazienti con carcinoma vescicale trattati con l’immunoterapico post-cistectomia: si tratterà a quel punto di chiedersi se a progressione, eventualmente dopo una prima linea con cisplatino, possa ancora avere un senso utilizzare un checkpoint inibitore. La futura strategia terapeutica nel carcinoma uroteliale sta diventando particolarmente complessa poiché sono stati introdotti, al momento solo negli USA, nuovi farmaci come l’enfortumab vedotin o il sacituzumab che certamente modificheranno in maniera radicale il trattamento di questa patologia. Un uso sempre più precoce degli immunoterapici, dei nuovi farmaci o della loro combinazione non permette, ad oggi, di immaginare le prospettive terapeutiche future. Purtroppo, al momento, mancano fattori prognostici e predittivi che consentano di valutare ed agevolare la scelta del miglior trattamento per ogni singolo paziente.
In conclusione, il trattamento con pembrolizumab a progressione dopo una prima linea di chemioterapia a base di platino conferma un ottimo profilo sia in termini di efficacia che tossicità. Pembrolizumab rimane sicuramente il primo immunoterapico ad aver modificato la storia naturale nel carcinoma uroteliale metastatico.