
L’immensa hall della Exhibit si svuota e si riarrotolano le moquettes, mentre i delegati seguono le ultime sessioni trascinandosi dietro i trolleys, pronti per partire. È tempo di trarre le conclusioni e allora resta innanzitutto impresso il claim del convegno, quell’insistenza sul “binomio impossibile” della sanità contemporanea: equità e innovazione. Difficile non restar colpiti dalla nettezza di quanto affermato nel corso di questo ASCO da André Ilbawi (M.D. Anderson Cancer Center, Houston e delegato dell’OMS): «Tanto nella clinica quanto nelle nostre aule, c’è una generazione di giovani oncologi che desidera soltanto capire come la nostra professione possa promuovere nei fatti giustizia ed equità», ha detto. «Sostenendo i giovani che intendono spendersi per l’equità, noi tutti diventiamo fattori di cambiamento».
Da cosa è motivata questa ansia di giustizia? Dal fatto che, se solo alziamo lo sguardo oltre i privilegi dai quali siamo bene o male attorniati, a tutt’oggi l’oncologia mondiale è spaccata in due, ha spiegato. Da un lato, c’è un percorso in grado di offrire ai pazienti i migliori risultati di sopravvivenza e un accesso affidabile a cure di alta qualità e a nuove tecnologie. Ma, ha fatto presente il chirurgo oncologo, «si tratta di un percorso per pochi, mentre un altro cammino attende la maggior parte delle persone malate, a livello globale, proponendo percorsi di cura inaccessibili e di scarsa qualità, difficoltà emotive ed insicurezza finanziaria, per il semplice fatto di esser nati nel posto sbagliato». Ed è così che, solo per fare un esempio, i tassi di sopravvivenza per i tumori al seno e pediatrici rimangono al di sotto del 30% in molti Paesi a basso e medio reddito, rispetto al 90% degli Stati Uniti. «Questa profonda disuguaglianza provoca milioni di morti ogni anno che si potrebbero evitare», ha detto Ilbawi.
E Saverio Cinieri, Presidente AIOM, ha fatto notare, anche qui a Chicago, che non è proprio il caso di girarsi dall’altra parte: non si tratta di un problema solo per quei Paesi che non hanno un sistema sanitario universale, perché – sia pure con caratteristiche e modi diversi – l’equità nell’accesso alle cure riguarda anche il nostro Paese. Un esempio lampante: sono trascorsi cinque anni dall’approvazione del trastuzumab da parte della FDA, e solo un terzo del mondo ha accesso a questa terapia salvavita. L’innovazione non ha nemmeno affrontato i problemi emotivi, sociali e finanziari che molte persone malate devono affrontare. Ed è così che oltre il 70% dei pazienti a livello globale e il 20% di quelli che vivono negli Stati Uniti sono costretti a vendere propri beni per accedere alle cure oncologiche. Con punte di inumanità, ha ricordato lo speaker americano, presentando i nuovi protocolli d’intesa tra ASCO e OMS: «Il 40% delle donne affetto da carcinoma cervicale metastatico viene abbandonato dai propri partner e vive un profondo isolamento sociale. Non possiamo essere solo spettatori inermi, mentre i nostri sistemi sanitari si evolvono in un modo che non si pone al servizio della nostra comunità globale». Di fatto, sebbene le innovazioni tecnologiche siano in grado di salvare innumerevoli vite, molte nuove terapie costose offrono di fatto solo benefici marginali in termini di sopravvivenza.
Inoltre, ha concluso Ilbawi toccando un punto caro a Oncoinfo e ai suoi collaboratori, «il ricorso all’uso della PFS come endpoint primario negli studi clinici dal 2000 è aumentato drasticamente, sebbene non sia strettamente correlato ai miglioramenti della OS. Al contrario, pochi studi in fase iniziale si concentrano sulla qualità di vita correlata alla salute, che le meta-analisi hanno invece dimostrato essere un importante indicatore di sopravvivenza».
Fonte: ASCO2022 Chicago, Ilbawi A. Guest speaker’s address: Innovation in global cancer control, 4 giugno 2022.