
Ha senso un congresso mondiale sull’oncologia gastrointestinale soltanto un mese dopo l’ASCO? La tre giorni di Barcellona conferma l’utilità di un’assise che consenta alla più parte dei risultati già resi noti a Chicago di sedimentarsi e di essere metabolizzati nelle loro particolarità. Tanto più che i dati della nuova clinica sono estremamente complessi e necessitano di un certo tempo per essere assorbiti e contestualizzati in una rilettura critica che non può prescindere da un riesame di tutta la letteratura sull’argomento.
Ma i vantaggi del congresso non finiscono qui: Barcellona offre un mix molto ben bilanciato di sessioni educazionali e di relazioni scientificamente innovative. Quindi, il timing che in apparenza potrebbe sembrare un limite, si rivela invece la vera chiave del successo di un congresso sempre più frequentato e nel corso del quale l’oncologia italiana svolge un ruolo da protagonista.
Nel merito, la star del congresso può esser considerata anche qui l’immunoterapia, testata ormai in molti comparti della oncologia gastrointestinale, dal momento che vi è un insieme di tumori sui quali gli anti PD-L1 e gli anti-PD1 si stanno rivelando oltremodo promettenti. È evidente che, anche in questo caso, occorre calma. La sfida della cosiddetta personomics va raccolta senza imboccare scorciatoie, perché la considerazione delle circostanze individuali del paziente, le sue caratteristiche ricavabili dalla genomica, dalla proteomica, dalla farmacogenomica, dalla metabolomica e dall’epigenomica sono oltremodo complesse e mettono capo ad un insieme di big data di difficile comprensione e gestione. Molti progressi sono attesi nell’ambito dell’oncologia gastrointestinale anche dalle nuove tecniche di biopsia liquida che studiano i frammenti di DNA rilasciati nel sangue dalle cellule tumorali. Anche da Barcellona è emersa dunque con chiarezza la necessità di un lavoro di gruppo che stringa insieme sempre più strettamente l’oncologo e gli altri specialisti coinvolti.
Luciano De Fiore
Sono oltre 30 anni che sostengo la immunoterapia dei tumori e lo stimolo verso terapie contro i virus oncogeni a DNA. Ricordiamoci che Michael Douglas all’ASCO 2013 sostenne che il suo tumore dipendeva da un virus HPV. Non mi meraviglio quindi dei risultati positivi in quasi tutti i tumori e non mi meraviglierei se le biopsie liquide non evidenziassero se non i cosiddetti “virioni”.