
Presentati al Congresso ESMO 2014 di Madrid i dati positivi dello studio di Fase III coBRIM, pubblicato sul New England Journal of Medicine , che dimostrano come i pazienti con melanoma metastatico positivo alla mutazione di BRAF V600 non pretrattato che hanno ricevuto l’inibitore di MEK, cobimetinib, più vemurafenib abbiano avuto una sopravvivenza libera da progressione della malattia (PFS, Progression Free Survival) significativamente superiore rispetto al trattamento con vemurafenib in monoterapia. “Questi farmaci usati in combinazione hanno introdotto una novità importante: la possibilità di poter colpire contemporaneamente due proteine del pathway MAPK” afferma Paolo Ascierto, Direttore Unità di Oncologia Medica e Terapie Innovative, Istituto Nazionale Tumori, Fondazione “G. Pascale” di Napoli. “Cobimetinib selettivo per MEK insieme a vemurafenib selettivo per BRAF consentono una doppia inibizione con una migliore efficacia terapeutica e con una riduzione di alcuni effetti collaterali”.
La terapia combinata ha ridotto il rischio di progressione della malattia della metà (hazard ratio [HR] = 0.51, 95 per cento intervallo di confidenza [CI] 0,39-0,68; p <0.0001), con una PFS mediana di 9,9 mesi per cobimetinib più vemurafenib rispetto a 6,2 mesi con solo vemurafenib. Il profilo di sicurezza dell’associazione è stato coerente con quello degli studi precedenti. Gli eventi avversi più comuni osservati nel braccio dell’associazione hanno incluso diarrea, nausea, rash, fotosensibilità e alterazioni dei dati di laboratorio. “Abbiamo associato cobimetinib e vemurafenib in questo studio per ottenere un’inibizione più efficace del pathway del percorso di crescita di uno dei tumori più gravi e, ci auguriamo, migliorare gli outcome clinici”, ha dichiarato Sandra Horning, Chief Medical Officer e Head of Global Product Development. “I risultati dello studio coBRIM sono entusiasmanti perché supportano il potenziale dell’associazione come nuova opzione di trattamento che crediamo possa migliorare la vita delle persone affette melanoma metastatico positivo alla mutazione di BRAF”.
I risultati dello studio coBRIM sono stati statisticamente significativi su più endpoint secondari. La PFS mediana valutata da un comitato indipendente (IRC) era di 11,3 mesi del braccio di combinazione rispetto a 6,0 mesi del braccio di controllo (HR = 0.60, 95 per cento CI 0,45-0,79; p <0.0003). Il tasso di risposta obiettiva (ORR) era più alto nella combinazione rispetto al braccio di controllo (68 vs 45 per cento; p <0,0001). I dati della sopravvivenza globale (OS) non sono ancora disponibili. “Siamo orgogliosi di essere il centro che ha maggiormente contribuito allo studio internazionale coBRIM – afferma Gennaro Ciliberto, Direttore Scientifico Istituto Nazionale Tumori, IRCCS Fondazione Pascale Napoli – Questo risultato, insieme a quelli ottenuti in studi su altre patologie oncologiche, dimostrano come l’Istituto Nazionale Tumori “Fondazione G. Pascale” sia ormai riconosciuto come eccellenza nazionale e internazionale, per quanto riguarda il percorso diagnostico terapeutico che prevede l’uso di farmaci altamente innovativi, e per la qualità della ricerca e degli studi clinici che ci vedono coinvolti”. “Con il successo ottenuto con lo studio coBRIM – aggiunge Ciliberto – l’equipe di Ascierto conferma di essere all’avanguardia nel trattamento del melanoma metastatico che ha permesso, solo nel 2013, a più di 100 pazienti di essere trattati con le più avanzate terapie”. Roche ha presentato i dati coBRIM all’EMA, l’Agenzia Europea per i Medicinali, e intende presentare la richiesta di autorizzazione alla Food and Drug Administration degli Stati Uniti (FDA) verso la fine dell’anno.
CoBRIM è uno studio internazionale, randomizzato, in doppio cieco, , di Fase III per valutare la sicurezza e l’efficacia di 60 mg di cobimetinib da somministrare una volta al giorno in associazione a 960 mg di vemurafenib da somministrare due volte al giorno, rispetto a 960 mg di solo vemurafenib da somministrare due volte al giorno in associazione a placebo. Nello studio, 495 pazienti con melanoma metastatico o avanzato positivo alla mutazione di BRAF V600, non resecabile (rilevato con il test cobas® 4800 per la mutazione di BRAF) e non pretrattato per la malattia avanzata, sono stati randomizzati a ricevere vemurafenib ogni giorno per un ciclo di 28 giorni in associazione a cobimetinib o a placebo per i giorni 1-21 di ogni ciclo. L’endpoint primario era la PFS valutata dai ricercatori. Gli endpoint secondari hanno incluso la sopravvivenza globale , la risposta globale ( ORR), la durata della risposta, la PFS secondo il Comitato di Revisione indipendente (IRC, Independent Review Committee) e altri parametri di sicurezza, farmacocinetica e qualità della vita. Nel braccio dell’associazione è stata osservata una maggiore frequenza generale di eventi avversi (di grado 3 o superiore) (65 vs. 59%). Gli eventi avversi comuni (in più del 20%) osservati con maggiore frequenza (tutti i gradi) nel braccio trattato con l’associazione rispetto a quello trattato solo con vemurafenib hanno incluso diarrea (57 vs. 28%), nausea (39 vs. 24%), fotosensibilità (28 vs. 16%), alterazioni della funzionalità epatica (aumento di ALT [24 vs. 18%], aumento di AST [22 vs. 13%]) e vomito (21 vs. 12%). Gli eventi avversi comuni osservati con minore frequenza nel braccio trattato con l’associazione hanno incluso perdita di capelli (14 vs. 29%), inspessimento della cute (10 vs. 29%) e dolore articolare (33 vs. 40%). Nella maggior parte dei casi, il grado di severità di ognuno di questi eventi avversi è stato 1 o 2. Altri eventi avversi che si sono presentati con minor frequenza nel braccio dell’associazione hanno incluso due tipi di tumore della pelle, il carcinoma squamocellulare (3 vs. 11%; tutti i gradi) e il cheratocantoma (<1 vs. 8%; tutti i gradi). Disturbi visivi temporanei correlati all’inibizione di MEK sono stati osservati nel braccio dell’associazione (20 vs. <1 %), con la maggior parte degli eventi compresi tra il grado 1 e il grado 2. Eventi avversi specifici che hanno portato al ritiro dal trattamento sono stati simili in entrambi i bracci dello studio, così come il tasso generale di interruzione del trattamento (13 vs. 12%).
Fonte: Ufficio Comunicazione Roche
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