
I nuovi casi di tumore del fegato fra le donne, in Italia, sono aumentati del 21% in cinque anni: da 3.800 nel 2014 a 4.600 nel 2019. In calo (-7,5%), invece, le diagnosi fra gli uomini, diminuite in un quinquennio da 8600 a 8.000. Il tumore del fegato è “silenzioso”, perché non mostra sintomi specifici e solo il 10% dei casi è diagnosticato in fase iniziale quando l’intervento chirurgico può essere risolutivo. Per questo, le percentuali di guarigione sono ancora basse, infatti solo il 20% è vivo a cinque anni dalla diagnosi. Oggi si stanno aprendo nuove prospettive, grazie alla medicina di precisione. Le armi innovative nella lotta contro questa neoplasia sono approfondite al XXI Congresso Nazionale AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica), che si chiude oggi a Roma.
“Il tumore del fegato è il quinto big killer dopo polmone, colon-retto, mammella e pancreas – spiega Giordano Beretta, Presidente AIOM e Responsabile dell’Oncologia Medica all’Humanitas Gavazzeni di Bergamo. Il 90% dei casi è rappresentato dall’epatocarcinoma. Una serie di cause (infezioni da virus epatitici B e C, abuso alcolico, malattie genetiche e autoimmunitarie, diabete, obesità, etc) possono indurre un danno persistente del fegato. Queste ‘epatopatie croniche’ spesso si aggravano nel corso degli anni sfociando nella cirrosi epatica, una malattia severa che nel tempo può indurre un deficit di funzionalità dell’organo (scompenso epatico) e predisporre all’insorgenza del carcinoma epatico. In Italia, in più del 90% dei casi, l’epatocarcinoma si sviluppa in pazienti con cirrosi. Sia quest’ultima che il cancro possono non causare sintomi specifici per lungo tempo e solo un’attenta sorveglianza dei pazienti con epatopatia consente la diagnosi precoce di tumore epatico, condizione indispensabile per intervenire con i trattamenti più appropriati. È quindi fondamentale la collaborazione fra oncologo ed epatologo e l’assistenza da parte di un’equipe multidisciplinare”. Per tutti i pazienti con cirrosi epatica è consigliata una sorveglianza periodica ogni sei mesi con ecografia dell’addome per l’identificazione precoce della neoplasia.
Un terzo dei casi di tumore del fegato nel Nord Italia è dovuto ad abuso di alcol. Al Sud, fra le donne, si evidenzia un’incidenza maggiore (+19%) rispetto al Nord, a causa di locali condizioni genetiche e ambientali (infezione da virus dell’epatite B e C) peculiari delle zone del Meridione. “Lo scenario epidemiologico nel nostro Paese è destinato a cambiare – conclude Antonio Gasbarrini, Direttore di Medicina interna Gastroenterologia presso l’Università Cattolica Fondazione-Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS di Roma. I principali fattori di rischio della cirrosi epatica, la condizione su cui si sviluppa la maggior parte dei tumori del fegato, saranno costituiti dalla steatoepatite alcolica e non alcolica, quest’ultima caratterizzata dall’infiammazione cronica di un fegato steatosico e dalle malattie incluse nella sindrome metabolica, in particolare diabete e obesità, che stanno assumendo un’importanza crescente. I virus epatitici rimangono sempre un temibile problema, ma in progressiva decrescita epidemiologica. Da un lato, infatti, l’infezione da virus dell’epatite B, agente correlato all’insorgenza della malattia, è destinata a calare grazie alle campagne di vaccinazione nei nati dal 1978 in poi. Dall’altro lato, esistono straordinarie terapie per eradicare il virus dell’epatite C, quello che era fino a poco tempo fa il principale fattore di rischio di sviluppo di cirrosi e di successivo epatocarcinoma”.