
Tra i pazienti affetti da carcinoma polmonare non a piccole cellule (NSCLC) in fase avanzata, quelli sottoposti a terapia con inibitori PD-1/PD-L1 del checkpoint immunitario hanno una maggiore probabilità di mostrare una risposta parziale a una chemioterapia di salvataggio. Lo studio, presentato in occasione dell’European Lung Cancer Conference (ELCC) 2017, è il primo a suggerire che i trattamenti chemioterapici potrebbero trarre vantaggio da un precedente ciclo di immunoterapia.
I ricercatori hanno preso in considerazione 82 pazienti affetti da NSCLC di IV stadio: 63 casi di adenocarcinomi, 18 di carcinomi a cellule squamose e uno di carcinoma polmonare a grandi cellule. Tra questi, 67 erano stati precedentemente trattati con inibitori PD-1/PD-L1 del checkpoint (nivolumab = 56, pembrolizumab = 7, atezolizumab = 4) mentre i restanti 15, i quali componevano il gruppo di controllo, non erano stati sottoposti a immunoterapia. Tutti i pazienti avevano invece già affrontato un primo ciclo di chemioterapia. Dalle tomografie computerizzate realizzate nel periodo successivo al trattamento di seconda linea è emerso, per i pazienti precedentemente sottoposti a immunoterapia, un tasso di risposta parziale più elevato alla chemioterapia di salvataggio (27% vs 7%). Una stabilizzazione della malattia si è invece verificata nel 51% dei soggetti del gruppo di studio e nel 50% di quelli del gruppo di controllo, mentre una progressione di malattia si verificata rispettivamente nel 22% e nel 40% pazienti. “Possiamo solo speculare sulle possibili ragioni che si nascondono dietro questa migliore risposta nei pazienti pre-trattati con inibitori PD-1/PD-L1 del checkpoint immunitario”, ha dichiarato Sacha Rothschild, che ha presentato i risultati all’ELCC 2017. “Probabilmente l’attivazione del sistema immunitario da parte degli inibitori del checkpoint rende le cellule tumorali più sensibili alla chemioterapia. Oppure, quest’ultima potrebbe aiutare le cellule T tumore-specifiche a entrare nel microambiente della neoplasia ed esercitare la loro funzione”.
Rothschild ha precisato che ulteriori indagini sono in corso per analizzare la durata della risposta e la tossicità associata e, inoltre, che i risultati ottenuti devono essere replicati su campioni sperimentali più ampi. “Questo è il primo studio che ipotizza un effetto positivo dell’immunoterapia sull’efficacia di una successiva chemioterapia”, ha invece commentato Marina Garassino, primario di oncologia toracica della Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori. “Tutti noi che trattiamo pazienti con l’immunoterapia lo spspettavamo, a causa dei risultati inattesi ottenuti in alcuni pazienti. Tuttavia, questa è la prima volta che il fenomeno viene descritto formalmente. Anche se si tratta di risultati preliminari, essi suggeriscono che l’immunoterapia potrebbe cambiare la storia naturale della malattia e il microambiente del tumore, rendendolo più sensibile alla chemioterapia. Questo potrebbe aprire a nuove aree di ricerca e nuove sequenze di trattamento”.
Fabio Ambrosino
▼ Rothschild S. Abstract 91PD – Response to salvage chemotherapy following exposure to PD-1/PD-L1 inhibitors in patients with NSCLC. Poster Discussion – European Lung Cancer Conference 2017.