
La nefrectomia citoriduttiva potrebbe presto non essere più lo standard di cura nei casi di carcinoma renale avanzato in cui è richiesta una terapia medica. È questa la conclusione di un trial clinico randomizzato di fase III presentato durante la sessione plenaria del meeting annuale 2018 dell’American Society of Clinical Oncology (ASCO), in corso a Chicago.
Lo studio ha coinvolto 450 pazienti affetti da carcinoma renale metastatico (mRCC) con metastasi sincrone, che sono stati seguiti in media per 50,9 mesi. I risultati mostrano che la sopravvivenza media per i pazienti che hanno ricevuto solo la terapia farmacologica mirata a base di sunitinib è stata di 18,4 mesi. Quella dei pazienti sottoposti a nefrectomia citoriduttiva seguita poi da somministrazione di sunitinib 4-6 settimane dopo l’intervento, l’attuale standard di cura, è stato invece di 13,9 mesi.
“Fino ad ora, la nefrectomia è stata considerata lo standard di cura per i pazienti con tumore del rene che hanno una malattia metastatica quando il tumore viene diagnosticato per la prima volta. Questi casi rappresentano circa il 20 % di tutti i tumori del rene in tutto il mondo”, ha spiegato Arnaud Mejean, MD, urologo dell’’Hôpital Européen Georges-Pompidou – Université Paris Descartes e primo autore dello studio.
Il tasso di risposta del tumore alla terapia in termini di riduzione del tumore è stato quasi lo stesso nei due gruppi di trattamento (27,4% nei pazienti non sottoposti a chirurgia e 29,1% negli altri). Il tempo medio fino al peggioramento del tumore era leggermente più lungo nei pazienti trattati con sunitinib rispetto a quelli che avevano anche un intervento chirurgico (8,3 mesi contro 7,2 mesi). Un beneficio clinico è stato riscontrato nel 47,9% dei pazienti trattati con sunitinib, rispetto al 36,6% dei pazienti trattati con chirurgia e sunitinib.
“Grazie a questa ricerca, a molti pazienti con carcinoma renale avanzato potrebbe essere risparmiato un intervento chirurgico inutile, oltre a tutta la serie di effetti collaterali che lo possono accompagnare”, ha commentato invece Sumanta K. Pal, esperto dell’ASCO.
Oltre mettere i pazienti a rischio di complicazioni quali infezioni o embolie polmonari, la chirurgia ritarda l’inizio del trattamento farmacologico anche di diverse settimane. “Il nostro studio è il primo a mettere in discussione la necessità di un intervento chirurgico nell’era delle terapie mirate e dimostra chiaramente che la chirurgia per alcune persone con cancro del rene non dovrebbe più essere lo standard di cura“, ha concluso Mejean che tuttavia, insieme ai suoi colleghi, sottolinea nello studio come la chirurgia sia ancora il
gold standard per i pazienti che non hanno bisogno di una terapia sistemica, come quelli con una sola metastasi.
Maria Nardoianni
▼ Mejean A, Escudier B, Thezenas S et al. CARMENA: Cytoreductive nephrectomy followed by sunitinib versus sunitinib alone in metastatic renal cell carcinoma—Results of a phase III noninferiority trial. Abstract LBA3, ASCO 2018.