
L’aggiunta di una seconda terapia target per l’HER2 (pertuzumab) alla terapia standard con trastuzumab potrebbe portare un miglioramento, seppur modesto, dell’efficacia del trattamento post-chirurgico del tumore del seno HER2-positivo. È questo il risultato principale di uno studio presentato oggi all’Annual Meeting dell’ASCO.
Nel trial clinico sono stati inclusi circa 5000 pazienti affette da carcinoma mammario HER2-positivo di dimensioni superiori al centimetro e non trattabili con la sola chemioterapia. Questi sono stati assegnati, mediante procedura di randomizzazione, a un gruppo trattato per un anno con trastuzumab e placebo o a uno trattato con trastuzumab e pertuzumab, in seguito alle 18 settimane previste di chemioterapia. Dai risultati è emerso che l’aggiunta di pertuzumab alla terapia standard con trastuzumab riduce la probabilità di sviluppare un carcinoma mammario invasivo del 19%, rispetto al trattamento con trastuzumab più placebo. A un follow-up medio di 4 anni, 171 pazienti (7,1%) del gruppo sottoposto a pertuzumab hanno sviluppato una neoplasia invasiva, contro le 210 pazienti (8,7%) del gruppo placebo. A tre anni invece, sono risultate libere da tumori invasivi il 94,1% delle pazienti del gruppo sperimentale e il 93,2% delle pazienti del gruppo di controllo. In particolare, l’aggiunta di pertuzumab al protocollo terapeutico standard sembra beneficiare le pazienti con linfonodi positivi, per cui il tasso di sopravvivenza libero da malattia invasiva è risultato del 92% tra quelle sottoposte a trastuzumab più pertuzumab e del 90,2% tra quelle sottoposte a trastuzumab da solo. Tra le pazienti con linfonodi negativi invece, l’aggiunta di pertuzumab non ha determinato un effetto significativo. “Questi sono dati preliminari, ma data l’entità modesta del beneficio associato all’aggiunta di partuzumab, dovremmo considerare l’aggiunta solo per le pazienti ad alto rischio, – ha commentato Gunter von Mickwitz, presidente del German Breast Group di Neu-Isenburg (Germania) e responsabile della ricerca – quelle con linfonodi positivi e recettori ormonali negativi”. Per quanto riguarda gli effetti collaterali associati ai trattamenti questi sono risultati ridotti in entrambi i gruppi, con scompensi e morti dovute a fattori cardiaci che si sono verificate nello 0,7% delle pazienti del gruppo pertuzumab e nello 0,3% di quelle del gruppo placebo. Invece, episodi di diarrea severa si sono verificati più frequentemente nel gruppo sperimentale (9,8%) rispetto al gruppo di controllo (3,7%).
Ora i ricercatori continueranno a seguire le pazienti per analizzare i benefici a lungo termine dell’aggiunta di pertuzumab. Nel frattempo, stanno analizzando i campioni di tessuto prelevati nel corso dello studio per individuare potenziali biomarker in grado di predire l’efficacia dell’aggiunta di pertuzumab. “Abbiamo bisogno di ulteriore ricerca per determinare la durata ottimale della terapia adiuvante”, ha concluso von Mickwitz. “È possibile che i pazienti non necessitino di un anno intero di trattamento; sei mesi potrebbero bastare”.
Maria Nardoianni
▼ Von Minckwitz G, Procter MG, De Azambuja E, Zardavas D, Knott A, et al. APHINITY trial (BIG 4-11): A randomized comparison of chemotherapy (C) plus trastuzumab (T) plus placebo (Pla) versus chemotherapy plus trastuzumab (T) plus pertuzumab (P) as adjuvant therapy in patients (pts) with HER2-positive early breast cancer (EBC).Abstract LBA500, ASCO Annual Meeting 2017.