
“Le terapie alla fine della vita sono davvero “personali”, cambiano da paziente a paziente, e le palliative, incluso l’hospice, restano una delle nostre risorse migliori e meno sfruttate”, commenta Andrew Epstein, MD, oncologo ed esperto ASCO in cure palliative. “Non c’è un solo approccio possibile ai trattamenti di fine vita e non dovrebbe esserci. Ad ogni step della cura, le persone malate e i loro dottori devono discutere dell’equilibrio fra rischi e benefici, dei costi e degli effetti indesiderati. Il nostro obiettivo come oncologi è di riuscire ad aiutare i pazienti a vivere il più a lungo possibile e cercare di accompagnarli al meglio anche nei loro ultimi giorni di vita”, continua Epstein.
Partendo dalla parole del presidente Obama che, presentando la Precision Medicine Initiative all’inizio di quest’anno, ha parlato di “right therapy, for the right patient, at the right moment”, possiamo dire che le cure palliative non combattono direttamente le cause della malattia ma cercano di attenuarne i sintomi –non solo fisici, ma anche psicologici e sociali. Le terapie palliative sono quindi davvero delle cure da personalizzare sempre di più, in base alle esigenze, al carattere e ai desideri della persona malata.
L’analisi dei dati sulla salute raccolti dal 2007 al 2014 su più di 28.000 pazienti ha mostrato che una gran percentuale di persone con tumori solidi in stadio avanzato ha ricevuto almeno una forma di cura aggressiva durante gli ultimi 30 giorni di vita. La più comune riscontrata? Il ricovero ospedaliero o una visita di emergenza -nel 65% dei casi- e meno di 1 paziente su 5 ha sfruttato la possibilità di essere curato in un hospice.
“Le terapie intensive alla fine della vita restano appropriate per qualche paziente. Tuttavia, c’è bisogno di più educazione, sia per le persone malate che per i medici, con lo scopo di migliorare il dialogo sui risultati da raggiungere e le aspettative”, spiega Ronald C. Chen, MD, MPH, professore associato all’Università del North Carolina, Chapel Hill e primo autore di questo studio presentato all’ASCO 2016.
I ricercatori hanno preso in considerazione pazienti più giovani di 65 anni ai quali è stato diagnosticato un carcinoma polmonare metastatico, un carcinoma colon-rettale, un tumore della mammella, del pancreas o della prostata deceduti tra il mese di gennaio 2007 e quello di dicembre 2014. Ai fini di questa analisi, le cure aggressive prese in esame comprendono le procedure mediche invasive (come le biopsie), chemioterapia e radioterapia, i ricoveri ospedalieri d’emergenza e la terapia intensiva.
Queste misure, se usate alla fine della vita, sono riconosciute dagli esperti come esempi di accanimento terapeutico dannoso per i pazienti.
Le raccomandazioni ASCO su queste cure specifiche sono state incluse come parte integrante della campagna “Choosing Wisely”. Nei 32 mesi successivi, nonostante ciò, i ricercatori hanno osservato che il ricorso alle cure aggressive è rimasto invariato tra i pazienti affetti dai cinque tumori studiati (circa 70-75%) e l’uso degli hospice è ancora basso (14-18%). Bisognerebbe trovare delle strategie più efficaci per educare i medici e i pazienti sui vantaggi delle terapie palliative e dell’hospice, cercando di rendere più accessibili a tutti questo tipo di cure.
Valeria Montebello
Fonti:
Chen RC, Falchook AD, Tian F, et al. Aggressive care at the end of life for younger patients with cancer: impact of ASCO’s Choosing Wisely campaign. J Clin Oncol. 2016; (suppl; abstr LBA10033).
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Se non viene comunicata la diagnosi non si riesce a personalizzare il trattamento specie nelle fasi avanzate di malattia, inoltre conta molto il livello di cultura.