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Teniamo i tumori tranquilli e felici, invece di aggredirli

By 17 Maggio 2013Novembre 27th, 2013No Comments
A colloquio con...

Il cancro? Potrebbe essere l’altra faccia della medaglia del grande successo evolutivo della nostra specie, e potrebbe agire come un meccanismo naturale di controllo e di selezione della popolazione. Si spiegherebbe così – con una dinamica simile all’antibioticoresistenza nei ceppi batterici – il fenomeno della resistenza alla chemioterapia. Ma se questa teoria fosse esatta, sarebbe necessario cambiare completamente approccio al trattamento dei tumori, cercando di impedire l’innescarsi del processo metastatico mediante una terapia non aggressiva. La parola chiave è “eterogeneità”, spiega il grande fisico Robert H. Austin, intercettato dalla rivista The Scientist al meeting annuale dell’American Association for the Advancement of Science (AAAS), tenutosi a Boston.
I tassi di mortalità per cancro non sono calati quanto l’immane sforzo economico di aziende e istituti di ricerca messo in campo negli ultimi decenni avrebbe fatto prevedere. Così, qualcuno ha iniziato a chiedersi se per caso non sia stata imboccata una strada senza uscita, se per caso non serva un approccio del tutto nuovo in oncologia: in quest’ottica, già nel 2009 i National Institutes of Health hanno finanziato la creazione negli Stati Uniti di 12 centri di Fisica Medica specializzati in ricerca oncologica, che potessero analizzare il cancro come un sistema fisico, e quindi da una prospettiva nuova. A dirigere uno di questi centri, quello presso la Princeton University, è stato chiamat,  fisico di fama mondiale e insignito con l’Edgar Lilienfeld Prize dell’American Physical Society nel 2005.

Perché finora non è stata trovata una cura definitiva contro il cancro?

Credo che la ragione per cui abbiamo finora fallito nella ricerca di una “cura” contro il cancro risieda nella profonda eterogeneità dei tumori. Non esiste un proiettile magico in grado di colpire cellule tanto diverse tra loro. Ma questa eterogeneità, forse, è anche la chiave per arrivare a controllare il cancro. Siamo a un punto della ricerca oncologica che mi ricorda molto quello della ricerca sulla fisica delle particelle negli anni Sessanta: tanti dati disorientanti con scarsa comprensione dei meccanismi di base che si nascondono dietro quei dati. Ma prima o poi emergerà dalla confusione un modello standard anche in oncologia, soì come è successo in fisica, e chissà se non scopriremo un bosone di Higgs nascosto dietro l’eterogeneità di tutti i tumori.

In definitiva, che cos’è il cancro?

Ho due risposte a questa domanda. Potrebbe essere l’effetto della fondamentale instabilità di ogni sistema biologico soggetto a mutazioni mentre riproduce e accresce se stesso. Un rischio letale che ogni essere vivente complesso deve accettare se si evolve. Ma potrebbe anche essere il “piano B” della Natura quando un essere vivente non muore quando dovrebbe. Un uomo invecchia stando attento alla salute, va oltre l’età “programmata” e quindi il sistema si autodistrugge per il bene della specie: una sorta di apoptosi cellulare su larga scala. Il che spiegherebbe perché il sistema immunitario permette che tutto ciò avvenga e anzi a volte si frappone persino ai nostri tentativi di aggredire i tessuti tumorali: è come se “volesse” il cancro.

E perché il cancro dovrebbe essere parte di una strategia evolutiva?

Perché come specie per continuare ad evolverci e adattarci all’ambiente abbiamo bisogno di mutazioni continue. E il cancro è più diffuso negli esseri umani perché le mutazioni genetiche sono il meccanismo che muove la nostra rapida evoluzione.

Come governare questo processo? O dobbiamo semplicemente rassegnarci a morire di cancro?

Il 90% dei decessi per tumore è dovuto al processo metastatico. Di solito un paziente riesce a convivere con la maggioranza dei tumori. Non necessariamente un tumore ti uccide, ma appena produce metastasi comincia a ucciderti. E cosa guida la transizione da tessuto tumorale a metastasi? Credo che si tratti di un processo stress-correlato. In parole povere, il tessuto tumorale quando si trova in un ambiente “stressante” decide di evadere metastatizzando.

Cosa dovremmo fare, allora: tenere tranquillo e felice il tumore?

Sì, tranquillo e felice. Possiamo imparare a farlo? Non credo sia impossibile.

E quindi dovremmo smettere di trattare i tumori con la chemioterapia?

No, affatto. Non dobbiamo rinunciare alla chemioterapia, dobbiamo solo approcciarci al trattamento dei tumori in modo più furbo e meno semplicistico: invece di tentare di uccidere un tumore, dobbiamo imparare a controllarlo. Per esempio, potrebbe avere senso nutrire una massa tumorale invece di tentare di “affamarla”. Quando è arrivato sul mercato il primo farmaco antiangiogenico abbiamo tutti sperato che si trattasse della cura definitiva contro il cancro, invece i risultati non sono stati pari alle attese: le cellule tumorali hanno imparato a vivere con meno apporto di sangue e i tessuti tumorali trattati sono diventati più pericolosi ancora di quelli non trattati. Affamando il cancro abbiamo creato un mostro assoluto.

Qual è quindi la cura per il cancro che dobbiamo iniziare a cercare?

Dovremmo smettere di usare la parola “cura”. È una parola sbagliata. Non vogliamo “curare” il cancro. Il cancro è un male “necessario” alla nostra evoluzione. La speranza è imparare a tenere il cancro sotto controllo abbastanza a lungo per morire di vecchiaia, il tutto con una buona qualità di vita.