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Al cuor (non) si comanda?

By 20 Febbraio 2011Novembre 27th, 2013No Comments
A colloquio con...

Il commento di Salvatore Panico, epidemiologo e docente di Medicina interna all’Università degli Studi “Federico II” di Napoli.

Faccio una premessa: grazie alla presenza di tali farmaci molti tumori si possono curare, quindi, è una fortuna che esistano.

I farmaci antitumorali possono però determinare un danno cardiovascolare, che certamente è maggiore con i chemioterapici classici. È una situazione che merita attenzione, soprattutto considerando che i tumori si sviluppano in un’epoca della vita in cui anche le malattie cardiovascolari sono più frequenti ed è più facile che la situazione precipiti. Fondamentale è quindi, tenere d’occhio la prevenzione cardiovascolare in chi sta facendo la terapia antitumorale. Per esempio, le donne che a causa del tumore della mammella fanno terapia anti-estrogeni con gli inibitori dell’aromatasi per cinque anni almeno, si trovano in una condizione che aumenta in parte il rischio cardiovascolare. Tale rischio può essere tranquillamente contenuto utilizzando un’alimentazione adeguata, come la dieta mediterranea: otterremo un vantaggio rispetto alla prognosi di malattia e una riduzione dei rischi possibili derivanti dall’utilizzo dei farmaci antitumorali. Ci sono farmaci che mandano la donna in una fase di menopausa precoce e producono una serie di effetti sulle proteine che sono dannosi. Ma anche qui, il modo di mangiare può contribuire molto.

Tutti i pazienti oncologici meritano un’attenzione particolare per quanto attiene l’alimentazione e il contrasto alla sedentarietà, certamente, una volta terminata la fase acuta della malattia; è chiaro che in piena chemioterapia è difficile che il paziente possa abituarsi a fare un po’ di attività fisica, ma terminata la chemioterapia, deve fare un esercizio fisico regolare e deve mangiare in modo sano, perché la gran parte delle persone che si ammalano di tumore hanno abitudini alimentari rischiose.

Dunque, sappiamo che si può veramente curare e prevenire queste malattie intervenendo sullo stile di vita, allora, bisogna passare all’azione, intervenire per attuare tali strategie di trattamento non solo in pochi centri di eccellenza: deve diventare sistema. La riabilitazione oncologica deve diventare sistema. Per il tumore non esiste ancora una riabilitazione oncologica come quella cardiologica, per riabilitazione oncologica si intende più che altro sostenere i pazienti con tumore sul piano psicologico. È difficile farla, ma va fatta.

Inoltre, non va sottovalutata la questione dei costi e il risparmio che si potrebbe ottenere complessivamente sulla prevenzione e la terapia delle malattie cardiovascolari e dei tumori con le terapie nutrizionali. Tuttavia, va detto che da un lato manca la cultura diffusa che prevenire o curare l’infarto con l’alimentazione e l’attività fisica significa anche prevenire il tumore, dall’altro lato non ci sono gli attori, perché chi si occupa di seguire e controllare e tenere costantemente sotto pressione i pazienti? Quindi, dal punto di vista della fattibilità, si preferisce ricorrere alla pillola, utilizzare i farmaci. I tempi, però, dovrebbero essere maturi per capire che esiste un altro modo per curare anche i tumori, cioè la terapia nutrizionale e per capire che nella gestione complessiva del paziente, nella continuità assistenziale post malattia, tutto questo è fondamentale, perché si riduce enormemente il costo, si riduce l’ospedalizzazione.

Il commento di Roberto Labianca, direttore dell’U.O. di Oncologia medica degli Ospedali Riuniti di Bergamo.

Il problema non è nuovo, perché già venti anni fa sapevamo che alcuni farmaci antitumorali potevano dare problemi di tipo cardiologico, soprattutto, tra le antracicline la adriamicina e l’epirubicina. Poi, ci si è forse, un po’ dimenticati del problema, probabilmente anche per il fatto che tali farmaci si usano a dosaggi più bassi. Oggi, poiché anche le nuove molecole, i farmaci biologici, gli anticorpi monoclonali possono dare problemi di cardiotossicità, si assiste ad un rinnovato interesse per il problema e alla necessità di fare meglio nell’interesse del malato. L’oncologo, certamente, deve collaborare bene con il cardiologo nella gestione di questi aspetti del trattamento. Il problema riguarda una minoranza di pazienti, che tuttavia vanno assistiti nella loro globalità. L’ideale sarebbe l’elaborazione di protocolli condivisi tra l’oncologo e il cardiologo: in molte strutture di cura si organizzano momenti di aggiornamento reciproco e in questo periodo non mancano i convegni sul tema. Da poco è stata fondata la Società di Onco-Cardiologia proprio per affrontare bene il problema, per decidere sui protocolli condivisi e gestire al meglio il problema della comorbilità cardiovascolare nel paziente oncologico. L’oncologo, inoltre, deve occuparsi del malato nel suo complesso e in tale inquadramento globale del malato rientrano gli aspetti relativi a tutte le comorbilità: penso soprattutto ai pazienti anziani e a quelli più fragili, che non di rado l’oncologo deve saper gestire, valutando, come sempre del resto, l’uso corretto dei farmaci. Direi che la vocazione a seguire il malato a tutto tondo l’oncologo ce l’ha nel suo DNA e talvolta, si tratta solo di riprendere questo bagaglio di conoscenze e attitudini, con l’introduzione di opportuni protocolli per esempio o con periodici aggiornamenti. Non dimentichiamo che la cardiotossicità da farmaci potrebbe compromettere il buon esito e l’efficacia della terapia antitumorale: anche per questo, la collaborazione con il collega cardiologo è fondamentale. Infine, va sottolineato che anche la riabilitazione oncologica è importantissima per il buon esito complessivo della terapia e per la prevenzione delle ricadute. Si tratta di un momento fondamentale del trattamento che in alcuni centri è valorizzato abbastanza, in altri è purtroppo, totalmente trascurato.